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Il film, prodotto dalla britannica Channel 4, esplora le conseguenze di un ipotetico assassinio del presidente degli Stati Uniti d'America George W. Bush nel 2007. |
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Si può fare un documentario su un fatto mai avvenuto, per di più ambientandolo nel futuro? La risposta sfugge al mero giudizio cinematografico. Non poteva che suscitare polemiche “Death of a president”, il mockumentary (un documentario/fiction) del regista inglese Gabriel Range.
Siamo nel 2008 e un documentario televisivo racconta l’uccisione di George W. Bush, avvenuta a Chicago nell’anno precedente. Il presidente degli Stati Uniti è in visita ufficiale e il suo arrivo in città è accompagnato da durissime contestazioni. Ai lati delle strade percorse dal corteo presidenziale i manifestanti lo accusano soprattutto per la politica di guerra della sua amministrazione. Lui appare tranquillo e persino simpatico, rassicura il suo staff e scherza con gli invitati al meeting organizzato in suo onore. Fuori però c’è l’inferno e qualcuno riesce a infiltrarsi nello Sheraton, dove il presidente viene ferito a morte. L’America è sconvolta e il potere passa nel mani del vice di Bush, Dick Cheney, che si adopera alla ricerca di un colpevole, meglio se islamico.
La storia è raccontata con immagini molto realistiche, alcune di repertorio altre integrate da effetti speciali (praticamente invisibili). Qui sta il lato migliore, perché la cosa sorprendente è che l’effetto documentario funziona alla perfezione. Lo spettatore resta inizialmente spiazzato, poi nessun dubbio in sala: George Bush è stato ucciso davvero. Non c’è un narratore, tutta la vicenda è scandita dal racconto di (finti) testimoni: una consigliera del Presidente, un giornalista del “Washington Post”, un addetto alla sicurezza della Casa Bianca e un militare e poi i sospettati, la moglie dell’indiziato numero uno. Il ritmo è molto incalzante per una buona metà del film, le immagini della strada sono mosse, nervose e contrastano, volutamente, con quelle statiche e asciutte delle interviste ai protagonisti. La seconda parte, quella delle indagini convince meno e tende alla noia.
“Death of a president” è un gioco, macabro forse, ma un gioco, provocatorio più nel titolo e nella locandina che nella sostanza. Raccontando dell’omicidio di Bush, si mira in realtà ad analizzare le paure degli americani dopo l’Undici Settembre. La caccia alle streghe e le incarcerazioni illegali che seguono il finto attentato di Chicago ricordano molto da vicino tutti quei meccanismi spiegati da Michael Moore. Scandalizzarsi è sbagliato: “Death of president” è più che altro un documentario di fantascienza perché parte da un’ipotesi per osservarne le conseguenze (quello che in America chiamano il what if?). Sostenere che il film fomenti un eventuale omicidio è assurdo, è come se si accusasse Spielberg di favorire l’invasione aliena solo per averla mostrata sullo schermo. Range peraltro ci mostra un Bush inaspettatamente gradevole, nettamente in contrasto con il sanguinario guerrafondaio degli slogan dei contestatori. Il documentario è un’operazione magari non troppo brillante da un punto di vista cinematografico, ma sicuramente interessante e da non bollare come un semplice film di propaganda. |
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Commenti del pubblico |
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