Creare universi paralleli quasi sovrapponibili uno sull'altro. Fenomeni atmosferici e viaggi mentali: i giochi e gli uomini. Cinema come tiro al bersaglio, esercizio di accelerazione in un territorio accidentato, per allenare la prontezza di riflessi (digitali).
Racconto fantascientifico di forme e geometrie, intenti bellicosi e nervature di ossa, sabbia, rovine e detriti: tratto dall'omonimo videogioco di ambientazione horror, nel terzo capitolo di "Resident Evil", diretto stavolta da Russell Mulcahy (Highlander), scritto dal regista della prima avventura Paul W.S. Anderson, i sopravvissuti alla catastrofe di Raccoon City attraversano ora il deserto del Nevada, nella speranza di riuscire ad arrivare in Alaska. Alice si unisce a loro nella lotta per eliminare il virus letale. L’incubo non è finito.
La vendetta degli 'innocenti': la regola del gioco. Bruciare la carne del predatore 'alieno' per cercare disperatamente una via di fuga; emarginata, terra di zombie e 'bellezze armate', luogo visionario dell’estetica, o dell’etica dell’immagine farcita di umorismo (nero). In perfetta sintonia con lo scenario della post-modernità, l’immagine di "Resident Evil Extinction" - piena di segni, pallottole, corpi - consegna un mix vincente di orrore, tensione, azione; dalla sua creazione, alla sua storia, gli episodi, la trama, i personaggi, la simbologia, i luoghi, i clichè (horror), l’uso delle inquadrature, la musica.
Mostrare il sistema stesso dell’architettonica consolidata dell’Entertainment, nella sua logica interna, per condurre il movimento dell’impatto verso il caos, l’'atomizzazione' esplicita dell’esperienza videoludica (ambienti e griffe): allo spettatore non si chiede di 'interpretare' l’intensa caoticità della messinscena, bensì di prendersi tutto il piacere che riesce a catturare transitando in un gigantesco luna park emotivo che funziona in ogni istante come stimolatore di sensi. |
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