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Alcuni giorni prima del suo ventunesimo compleanno, William, un attore, si innamora follemente di Sara, un’affascinante ma imprevedibile cantautrice. William non si è mai occupato molto degli altri, ma ora si trova ad una svolta decisiva nella sua vita e proprio Sara, così seducente e maliziosa, sarà la causa della sua rovina e della sua salvezza. La loro relazione li porterà, infatti, da New York al Messico, da un'avventata proposta di matrimonio a una situazione disperata, fino a sfiorare le vette e gli abissi della passione. |
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Era umana, la persona più umana che abbia mai conosciuto. E questo la rendeva sensuale.
Nel 1996, il ventiseienne Ethan Hawke pubblica il suo primo romanzo, “The Hottest State”, tradotto, come questo film, “Amore giovane”.
Passano dieci anni e il suo “ego smisurato” (come ogni battuta autoironica contiene più di un fondo di verità) lo convince a rimetterci le mani ed a tirarne fuori una sceneggiatura. Quale regista migliore che lo stesso Ethan per realizzare un film dallo spunto decisamente autobiografico e soprattutto tanto radicato in lui da sentire il bisogno di tirarlo nuovamente fuori a distanza di dieci anni? Anni che non sono passati inutilmente: la completa identificazione con William ha lasciato il posto ad uno sguardo dall’esterno, che col distacco ha acquisito anche la maturità. Gli interrogativi del giovane William non sono più gli stessi di Ethan, che ha già completato la sua ‘formazione’ e, non a caso, interpreta nel film il ruolo del padre, la figura più negativa – in quanto soltanto evocata – e della quale si sente maggiormente il bisogno.
Potrebbe sembrare un film individuale, poche pellicole come questa appartengono a una sola persona: è incredibile, in quest’ottica, come Hawke riesca a parlare di se stesso senza essere nemmeno per un istante patetico, nel raccontare William si limita all’osservazione mantenendo un equilibrio mirabile tra la partecipazione e il distacco.
Concede pochi minuti alla propria frenesia di debuttante dietro la macchina da presa, qualche passaggio con la macchina a mano, un notevole cambio focale in un’inquadratura, senza mai dare l’impressione di volere spazio da protagonista – d’altro canto si ‘limita’ a soggetto, sceneggiatura, regia e ruolo di Vince... A consacrare questo fortunato salto della cinepresa c’è il cameo di Richard Linklater, suo direttore in “Prima dell’alba” e nel sequel “Prima del tramonto”.
Il successo di questo film non è però nella realizzazione, o almeno non solo, quanto nel libro (e nella sceneggiatura): dal Texas a New York, la scena è tipicamente americana, ma alla profonda conoscenza Hawke abbina uno sguardo per così dire europeo, ovvero analitico, ironico, leggero. Diverse le frasi significative, ma nessuna è artificiosa, retorica o inventata; la difficoltà del rapporto con gli altri, di quello con i genitori, come gli altri reagiscono ai nostri atteggiamenti, soffrire, dare ad ogni cosa il peso sbagliato, fingere e continuare a farlo per abitudine fino a diventare ciò che si finge di essere: crescere, un’esperienza che tutti viviamo e che abbiamo la possibilità di rivivere guardando questo film. |