Un viaggio straniante, inclassificabile, a tratti irritante eppure maledettamente ipnotico.
Medem, conosciuto in Italia per lo più per il suo Lucía y el sexo, dedica il suo ultimo film alla sorella, scomparsa nel 2000 in un incidente stradale. Caótica Ana rappresenta per il regista basco l’espiazione di un dolore, di un malessere profondo, che si riflette abbastanza chiaramente in una sceneggiatura tanto confusa quanto emozionante. Emozioni che a volte prendono forme, immagini, parole sgradevoli, capaci tuttavia di attrarre la nostra attenzione, costante durante le intere due ore di proiezione. Il senso profondo di questo film probabilmente lo sa soltanto lui, Medem, ed è inevitabile che pioveranno su di lui non poche critiche (probabilmente specie da parte del pubblico), eppure il punto è un altro: siamo di fronte ad un tipo di cinema che fa discutere, che anima le coscienze, che provoca sensazioni forti -a volte anche estreme- e quindi in fin dei conti fa bene al concetto stesso di (settima) arte: l’arte infatti si nutre proprio di tesi e antitesi, di provocazione e superamento dei limiti, di intuizioni e capricci. I detrattori di Medem lo definiscono come un regista sopravvalutato, e potrebbero anche avere ragione, ma nessuno può mettere in dubbio la sua capacità di creare atmosfere rarefatte, uniche, che nascondono forti poteri evocativi; pensandoci bene infatti, Caótica Ana assomiglia più a una costruzione mitologica che ad una storia, e spesso e volentieri i suoi binomi (uomo-donna, caos-cosmos, felicità-disperazione) ne sono una conferma. Alla basa c’è l’idea che la donna crea la vita, mentre l’uomo la distrugge, e a partire da questo assioma se ne snodano tanti altri, a partire da una sommaria (ma non del tutto insensata) divisione degli uomini in stupratori violenti e puttane. Ana rappresenta la 'madre degli uomini buoni' e seppur involontariamente -attraverso l’ipnosi- rievoca passate vita di giovani ragazze morte crudelmente all’età di 22 anni. Il suo compito è quello di combattere la tirannia del genere maschile nei confronti di quello femminile, ma non solo: attraverso Ana si manifestano anche capricci visivi e idee del regista, una specie di personaggio catartico grazie al quale Medem esprime in tutto e per tutto il suo modo di fare cinema, legato al subconscio e al sesso, al sogno e all’intangibile.
Un film caotico e incompleto, più di una volta schiavo del suo egocentrismo, ma comunque da vedere e ben recitato dalla protagonista Manuela Vellés, al suo debutto sul grande schermo.
In concorso alla Festa del cinema di Roma. |