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L’automobile: soggetto privilegiato del cinema statunitense. Ancora: oggetto che, più di ogni altro, colpisce l’immaginario, dà corpo a mitologie, rende l’emozione e l’atmosfera di un tempo e di un luogo scolpendoli nella memoria. Questa la tesi sostenuta nel libro, che l’autore sviluppa a partire dall’analisi di una serie di celebri opere cinematografiche dalle origini agli anni sessanta, per poi stringere il campo e concentrarsi su quattro film: Duel; American Graffiti; Christine, la macchina infernale e Tucker. Un uomo e il suo sogno, espressioni del “nuovo cinema americano”, quello degli anni settanta/ottanta, periodo in cui la macchina comincia ad assumere tinte fosche, facendosi davvero segno, cartina di tornasole della crisi dell’ottimismo che fino ad allora aveva caratterizzato la vita d’oltreoceano. Sedersi accanto al guidatore/autore riserverà piacevoli sorprese anche chi non è appassionato di quattro ruote. E questo perché chi scrive coniuga bene le sue ampie conoscenze a un’evidente passione per l’argomento, riuscendo davvero a trascinarsi con sé, a coinvolgerci nella corsa anche (o soprattutto) emotivamente. Complici Barthes e McLuhan veniamo trasportati in un mondo in cui l’automobile è una “parola” all’interno del “linguaggio” cinema in grado di veicolare idee e stati d’animo. Al lettore il privilegio di “leggere” un pezzo di storia del cinema USA (o, forse, un pezzo di storia americana) da quella prospettiva particolare e ricca di fascino possibile solo dall’interno di un’automobile in corsa. Fino a scoprire che nulla meglio di questa curiosa “parola” in movimento è in grado di rappresentare “la ‘roba’ di cui son fatti i sogni”. |
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