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Quattro ragazze di diciassette anni, belle ricche e viziate, passano il loro tempo libero dalla scuola tra shopping di lusso, ragazzi e feste in locali esclusivi. La loro vita scorre all'insegna della superficialità senza nessuna attenzione per coloro che le circondano, siano essi genitori, insegnanti o amici. A guidare il gruppo è Elena, la più intelligente, sicura e affascinante, che esercita un forte ascendente sulle altre. Tuttavia, l'incontro di Elena con un nuovo insegnante, Mario Landi, sconvolgerà completamente la vita della ragazza. |
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“Precariato sentimentale”
Partiamo da un concetto: 'Un gioco da ragazze' è un film brutto.
Le sarcastiche risate e gli occhi increduli dei giornalisti, in occasione dell’anteprima stampa del film, di fronte ad alcune scene drammatiche che involontariamente si trasformavano in grottesche, valgono più di mille parole.
Non si discutono le buone intenzioni del regista esordiente Matteo Rovere, del produttore Maurizio Totti e delle giovani attrici (esordienti anche loro) che hanno lavorato con passione a questo progetto: le loro parole durante la conferenza stampa sono sincere ed ammirevoli.
Il problema è un altro.
Ci troviamo di fronte a un film completamente sbagliato, senza dubbio più nella forma che nella sostanza, che tenta goffamente di far riflettere - anche con provocazioni - sul vuoto pneumatico che attanaglia gli adolescenti d’oggi. Ad ogni modo, premesso che non tutti i quindicenni vivono in case con piscina, vanno a scuola privata, e si drogano e bevono neanche fossero a Woodstock, una delle cose che lascia più interdetti è come lo si possa vietare ai minori di 18 anni; una decisione insensata che non solo danneggia notevolmente la campagna promozionale della 01 (che lo distribuisce), ma che dimostra soprattutto l’assoluta rozzezza e inopportunità della Commissione Censura italiana.
Ma il peggio deve ancora arrivare.
L’aspetto ancor più eclatante e imperdonabile della faccenda è la decisione di portare questo film al Festival di Roma. Se è vero che la sceneggiatura manca di originalità, che le interpretazioni (a parte quella della Carnelutti) raggiungono nel migliore dei casi la sufficienza, che la narrazione si svolge prevedibile e con toni decisamente troppo accesi/gridati, allora come è possibile che qualcuno lo abbia selezionato nella sezione in concorso (!!!) di un Festival che aspira ad affermarsi sempre più?
In fondo l’insuccesso di questo film si ripercuoterà soprattutto su coloro che ci hanno messo la passione (il regista), i soldi (il produttore), e la faccia (le attrici), logica conseguenza del fatto che se un film è brutto, oltre agli spettatori, a pagarne le conseguenza sono in primis proprio loro.
Ciò che invece inquieta di più sono le decisioni scriteriate della Censura e, soprattutto, della Direzione Artistica del Festival di Roma. |