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Sul finire del III secolo a.C., mentre Annibale spinge l’esercito cartaginese oltre le Alpi, in Sicilia una bambina, Cabiria, viene rapita e venduta come schiava in Africa. Scelta dal sacerdote Karthalo per essere sacrificata alla divinità Moloch, la bambina viene salvata dal romano Fulvio Axinna e dal suo liberto Maciste. Diventata adulta a Cirta in casa della regina Sofonisba, Cabiria finisce nuovamente tra le grinfie di Karthalo. Ancora una volta saranno Axinna e Maciste a liberarla per riportarla, finalmente, a casa. |
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Firmato da Gabriele D’Annunzio, Cabiria è uno dei primi kolossal della storia del cinema italiano. Dalla collaborazione tra Giovanni Pastrone ed il vate pescarese nasce un ibrido a metà strada tra il genere storico ed l’avventuroso: l’inverosimile storia di Cabiria che si intreccia alle più note vicende della seconda Guerra Punica (Annibale – senza elefanti! – che valica le Alpi, Archimede che incendia le navi romane a Siracusa, l’alleanza con Massinissa, il suicidio di Sofonisba) ha il solo scopo di celebrare le radici della romanità e di collegare le antiche conquiste in Africa con le contemporanee.
All’altezza dello scopo sono le didascalie, uscite tutte dalla penna di Rapagnetta – e si vede –, traboccanti retorica e celebrazione: la propria, non quella di Roma... Anche il processo storico è contratto, riducendo a dieci i sedici anni che passarono dalla discesa di Annibale alla caduta di Cirta.
Alcune scene sono comunque rimaste nella storia, dalle semplici riprese dell’eruzione dell’Etna alla processione dei cammelli sull’orizzonte, più volte citata fino alla danza mortale ne Il settimo sigillo bergmaniano. Molto più articolata è la scena del sacrificio a Moloch: prima viene inquadrata la statua ardente del Dio, al cui interno vengono gettati, uno alla volta, i cento bambini; poi l’inquadratura si sposta sul sacerdote e sugli esaltati accanto a lui, lasciando leggere nel loro atteggiamento il macabro rito.
L’imponenza del film, degnamente simboleggiata dal monumentale ingresso del Tempio, lascia spazio ad alcuni momenti di leggerezza soave, su tutti Maciste che gioca con la piccola Cabiria mentre Fulvio Axinna si muove, nervoso, in secondo piano, culminanti col numero da circo che mettono in atto per entrare a Cartagine.
Il finale, con l’eccessiva esibizione della Almirante Manzini che mette in scena una morte per avvelenamento confondendo il set con un palcoscenico, segna il ritorno nei ranghi d’una forzata esagerazione. Dannunziano (nel bene e) nel male. |