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Jonathan e Bobby crescono insieme, nell’ambiguità di un rapporto oscillante tra intima amicizia e sessualità condivisa. Per qualche anno si perdono di vista; si ritroveranno a fine college e torneranno a vivere insieme, divisi in un primo momento da Clare, ma ancora più uniti quando lei rimarrà incinta di Bobby. I tre, presto quattro, vanno avanti per qualche tempo, finché non realizzano che uno di loro è di troppo: Clare. |
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Mentre Truffaut si rivolta nella tomba, Michael Mayer mette in scena la sua versione di Jules et Jim. Amore e amicizia non esistono: i protagonisti, quattro con la madre di Jonathan, hanno una personalità schiacciata ognuno nella propria, unica prerogativa. L’intimità tra i due ragazzini, in un contesto d’infanzia difficile per l’uno, d’insicurezza psicologica per l’altro, ha per lo meno una sua logica. Dove la sceneggiatura (alla base c’è un romanzo nientemeno che di Michael Cunningham) si sfalda del tutto è nella caratterizzazione femminile: Clare è un oggetto che Jonathan e Bobby si passano l’un l’altro innamorandosene senza un perché, per la sua sola presenza. Alice, la madre di Jonathan, per altro ben interpretata da Sissy Spacek (ma è un merito?), è follia allo stato puro, fa tutto quello che una donna sana di mente non farebbe mai riuscendo nell’impresa di renderlo prevedibile, allo scopo, nella migliore delle ipotesi, di giustificare i turbamenti psicologici del figlio. Nella banalità delle provocazioni, nella prevedibilità dei colpi di scena (l’unico inaspettato, ma solo nella modalità, è la morte del fratello di Bobby) il film tocca il punto più basso; i dialoghi piatti, al limite della totale assenza di neuroni, contribuiscono all’azzeramento dello spessore – potenziale – dei personaggi. Un film coerente, dunque, dove ogni elemento fa a gara per mantenerne l’infimo livello qualitativo. Da vedere... |