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Annie Braddock, neolaureata in economia e antropologia, deve scegliere quale direzione prendere per il suo futuro: intraprendere una carriera nel mondo degli affari come vorrebbe sua madre o seguire il suo sogno di studiosa delle varie culture ed etnie. A risolvere il quesito, con una terza scelta, interviene l'incontro fortuito con una mamma dell'Upper East Side di New York che la scambia erroneamente per una tata e che le propone un impiego a tempo pieno come baby-sitter di suo figlio Grayer. Nonostante la totale ignoranza in fatto di bambini Annie decide di accettare, ma l'impresa si rivela piuttosto ardua sia per il difficile rapporto con il monello viziato che le è stato affidato, che per le inflessibili regole della capricciosa Signora X, tra cui il divieto assoluto di frequentare i ragazzi. Tutto questo proprio quando incontra il ragazzo dei suoi sogni. |
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Visto, rivisto, stravisto, visto, e visto ancora.
Partiamo da questo presupposto: Diario di una tata è il più classico delle più classiche commedie americane. Non ci si può aspettare nulla di nuovo, e il massimo a cui può aspirare un film del genere è il classico: “nulla di che, però volevo rilassarmi e qualche risata me la sono fatta”.
Per quanto riguarda il primo punto nulla da dire, sulle risate si potrebbe obiettare qualcosa.
Emma McLaughlin e Nicola Kraus nel 2002 scrissero un libro divertente e satirico, ispirato alle loro numerose (più di trenta in otto anni) esperienze come tata nei quartieri bene di New York. Ne uscì un romanzo ironico e dissacrante, che ben presto diventò un best seller.
Shari Barman e Robert Pulcini lo portano sul grande schermo, scelta coraggiosa ma anche facile, quando nel cast si può contare sulla bellezza e sulla bravura di Scarlett Johansson (nuovamente in un ruolo comico dopo Scoop) oltre a nomi quali Laura Linney e Paul Giamatti.
La protagonista, Annie, è laureata in antropologia e deve decidere cosa fare del proprio futuro: la madre la vorrebbe nel mondo dell’economia, ma per pura casualità si ritroverà a fare la tata in una delle famiglie bene della Fifth Avenue di New York. Un mondo che non le appartiene, ma che da brava antropologa osserva ed analizza, correndo anche il rischio di diventare un’altra persona rispetto a quello che si era immaginata, ma riuscendo alla fine a ritrovare sé stessa proprio grazie a questa esperienza.
La storia segue i canoni stranoti della commedia d’oltre oceano, con tanto di immancabile storia d’amore e prevedibilissimo happy end, ma tutto sommato il tono smielato non cancella un ritmo accettabile e la mancanza di colpi di scena non offusca alcune battute divertenti o qualche trovata simpatica. In assoluto la più spiritosa è la descrizione delle ricche famiglie di New York, comparate con quelle che vivono in altre parti del mondo, come se stessero in un Museo di Storia Naturale; sfortunatamente però, ancora una volta si tende a prendere in giro un tipo di società che nonostante tutto mostra lo status cui aspirano gran parte degli americani: soldi, macchine, amanti, serate di beneficenza, meeting e gioielli inclusi.
Una finta satira politicamente corretta quindi, che invece di combattere seriamente gli aspetti più aberranti di questa società, finisce per renderli più accettabili agli occhi dello spettatore. |