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Tratto da un serial della tv inglese, "State of Play" racconta la storia di un membro di congresso messo in crisi dopo la morte della sua amante. La polizia indaga e non solo: ci mette lo zampino anche un giornalista, che però è anche un amico del politico e mai si aspetterebbe una verità come quella che sta per saltare fuori... |
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Dal piccolo al grande schermo, “State of Play” è una serie televisiva di successo che viene rimodellata per trasformarsi in un unico prodotto da consumarsi in due ore, al buio di una sala cinematografica. Circa quattro anni intercorrono tra l’idea iniziale e la postproduzione: in questo lasso di tempo, nemmeno troppo lungo, si lavora dapprima per sottrazione, si sposta la scena a Washington, si dà una nuova vita ai personaggi che il pubblico pensa già di conoscere. Sceneggiato tra gli altri da Tony Gilroy (e questo dovrebbe dire moltissimo sul film), “State of Play” viene affidato alle mani di Kevin Macdonald, ottimo documentarista che si è proposto all’attenzione mondiale meno di tre anni fa per il suo primo film a soggetto, “L’ultimo re di Scozia”. Il regista britannico chiede Russel Crowe come protagonista, ed è accontentato: in effetti il ruolo sembra scritto apposta per lui, che non deve dare sfoggio di alcuna qualità per entrare in un personaggio che gli calza a pennello; attorno alla star australiana l’emergente Rachel McAdams e nomi di primissimo piano, dalla caporedattrice Helen Mirren al politico Ben Affleck, sua moglie Robin Wright Penn e il compagno di partito Jeff Daniels.
Con tutte queste premesse, prima fra tutte il successo di pubblico della serie televisiva, il rischio che “State of Play” malriuscisse era forte; da una parte un modello vincente da copiare quanto possibile, dall’altra le necessità di uno sviluppo più lento di una puntata ma più rapido della serie intera, e al centro grandi nomi da amalgamare. Bene, l’amalgama è riuscita. “State of Play” è un film ascrivibile ad una categoria piena di film tutti uguali tra loro, e riesce a differenziarsene non solo per il ritmo, ma anche per trovate meno banali degli altri e per una variatio nelle dinamiche dei personaggi (interne ed esterne) quantomeno interessante.
Quanto al contenuto, e qui c’è poco da scostarsi dalla serie della BBC, “State of Play” finge di parlare dell’amicizia tra Stephen e Cal o dell’affinità tra quest’ultimo e Della, ma in realtà sposta l’attenzione sulle ambiguità del giornalismo, sulla mancanza di obiettività, sul coinvolgimento della politica nella vita e nel lavoro giornalistico. Quanto allo spettatore, può stare tranquillo: lo schema narrativo si va ingarbugliando senza però tendere alla confusione totale, il ritmo regge fino alla fine e i colpi di scena non sono telecomandati. Anzi, alcuni rimangono soltanto tra le sue aspettative, per una piacevole smentita della banalità imperante. |
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Ricorda molto, forse per il tema portante del giornalismo e della politica corrotta, Tutti gli Uomini del Presidente e quei thriller impegnati degli anni 70. Il film di McDonald e' un godibilissimo thriller incentrato su uno scandalo apparentemente insignificante che poi si dirama in un complesso complotto. Se il regista gioca bene con tutti gli stereotipi (dal giornalista intrepido al direttore tenace, dalla massa di politici corrotti a un killer misterioso) non si puo' dire altrettanto del ritmo, che alterna momenti di grande intrattenimento con cadute e passaggi che allentano l'attenzione. Ottima la direzione degli attori con un Crowe credibile come trasandato e coraggioso giornalista con taccuino d'altri tempi che disprezza l'informazione online.
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