"Sette spade in difesa della pace."
"Seven Swords" pone lo spettatore di fronte a un cinema che si situa a metà strada fra passato e presente, che mescola generi e linguaggi e apre squarci inediti nella nostra capacità di "vedere" le immagini sullo schermo. L’immagine stessa raccoglie una serie di danze di pura energia, regalandoci uno spettacolo prezioso. Inquadrature molto strette e un continuo alternarsi di dettagli; Tsui Hark dimostra dunque di avere bene in mente ciò che vuole, di sapere conferire alla pellicola una compattezza e una coerenza stilistica sconosciuta ai cineasti americani. E’ dunque una questione di spazi, piuttosto che di eventi o personaggi. Perciò il film ritrova poi la sua libertà nello splendido scontro finale fra il "cattivo" Vento di Fuoco e l’eroe Chu Zaonan, per il possesso della spada Drago. In questo caso la battaglia avviene in uno spazio ristretto, fra due mura solide, che vengono attraversate dalle lame descrivendo geometrie insolite nella pietra, come a voler spaccare quella condizione di prigionia.
E allora capiamo che l’uomo deve convivere e lottare continuamente con un limite, che la vita è permeata dal dolore, ma vale la pena di essere vissuta per le tante piccole felicità di cui è piena e che vanno continuamente cercate con impegno.
In fondo, tutta la storia ruota intorno alla ricerca della felicità da parte di individui diversamente condannati a restare soli. La loro battaglia è la ricerca della gioia attraverso il male, la comprensione del limite che stabilisce le loro vite e che solo a tratti può essere superato attraverso l’uso di un potere superiore, rappresentato dalla spada, non a caso il vero protagonista sin dal titolo.
Cinema adrenalinico ed insieme capace di innalzarsi a manifesto poetico; "Seven Swords" possiede la potenza espressiva della grande epopea.
Presentato fuori concorso a Venezia 2005. |