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Nella Vienna di Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d'Austria, arriva Wolfgang Amadeus Mozart. Lo presenta Salieri, musicista di corte, rispettato e apprezzato ovunque. In breve tempo Mozart, con il suo immenso talento suscita grandi entusiasmi, ma anche inimicizie e gelosie. Salieri, che conosce i limiti della propria professionalità musicale, comincia così a nutrire verso di lui un autentico odio. Ne ammira l'arte ma deplora il suo comportamento insolente e il suo linguaggio sboccato. Ma Mozart sembra trionfare anche nell'animo del Sovrano, mentre Salieri, roso dall'invidia, giura a se stesso che non avrà pace finché non vedrà il rivale morto. Nonostante i grandi successi, Mozart alla fine della sua breve vita si trova povero e abbandonato dalla moglie Costanza. Accetta di comporre un Requiem che detterà allo stesso Salieri perché troppo malato. Tutto questo viene raccontato dallo stesso Salieri chiuso in un cronicario, ormai vecchio e senza pace. |
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A quasi dieci anni di distanza da “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, il ceco Milos Forman torna all’interno di un ospedale, non un manicomio ma una struttura molto simile: questa volta, però, lo troviamo alla prese con un percorso contrario, non più una reclusione con fuga finale ma una lunga proiezione esterna prima di tornare, definitivamente, dentro.
Il vecchio, prossimo alla pazzia, che parla – uscendo dalla casa di cura con la sua memoria – è Antonio Salieri, compositore alla corte di Giuseppe II; la ‘ridacchiante e oscena creatura’ al centro delle sue memorie è nientemeno che Wolfgang Amadeus Mozart.
Quella di Salieri è, nella finzione cinematografica, una sorta di biografia non autorizzata del musicista salisburghese mascherata da confessione: nella realtà, ci troviamo di fronte alla fantasia di un uomo che proietta sul proprio passato le sue frustrazioni e compone, per se stesso prima che per il pubblico, il ritratto di un uomo completamente manipolato da lui, mescolando leggende popolari e falsi storici (interamente addebitabili all’omonimo dramma di Peter Shaffer, che a sua volta si ispira a “Mozart e Salieri” di Puškin). La cosa più verosimile sulla quale si basa il rapporto tra i due musicisti è la sterminata invidia che l’italiano nutre nei confronti del più giovane collega, mascherata sotto forma di risentimento nei confronti di un Dio che si mostra a lui per mezzo di un indegno bamboccio, attraverso una musica, per l’appunto, divina.
Il ritratto di Mozart non può che essere negativo: presuntuoso, sprezzante (“Italiani, gente musicalmente idiota” gli sentiamo dire), frivolo, ubriacone, un compendio di difetti in un genio della musica, al quale viene riconosciuta solo la dedizione al lavoro.
Non sono chiari gli intenti di Forman: la ricostruzione della Vienna settecentesca e la scansione cronologica delle opere mozartiane potrebbero far pensare ad un’ambiziosa monografia romanzata del compositore austriaco, come negli intenti di Shaffer; ma alla fine prevale la sensazione di una favola il cui punto di forza è nella confusione tra significante e significato, nella musica meravigliosa che da oggetto della rappresentazione si fa suo strumento. |
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Sono affezionato visceralmente, forse anche più di ciò che meriterebbe, a questa lunga pellicola, che potrei rivedere ogni giorno, e senza mai stancarmi. Forman, abilissimo alla regia, mette in scena le idee di Shaffer con rara maestria, in una specie di dramma musicale che ha per sfondo, costantemente, le meravigliose note di Amadeus stesso, senza mai crollare nell'eccesso. Di eccessivo c'è lo sfarzo settecentesco che fa da habitat naturale al film, o eccessiva è la sregolatezza del genio musicale di Mozart. Sontuose le interpretazioni di Abraham e di Hulce: l'Oscar andò al primo, che tuttavia sentiva accanto, spiritualmente, il compagno di giochi, come se il premio fosse necessariamente per entrambi.
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