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La storia dello scomparso Andy Kaufman, considerato uno degli artisti più innovativi, eccentrici ed enigmatici del suo tempo. Magistrale nel raggirare il pubblico, Kaufman riusciva a provocare fragorose risate, gelidi silenzi, lacrime o schiamazzi. Sia che proponesse comicità per bambini, sia che sfidasse le signore a un incontro misto di wrestling, era abilissimo nel dar vita a performance così realistiche che perfino i suoi più cari amici non sapevano dove finisse lo scherzo e dove cominciasse la realtà. |
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Milos Forman prende spunto dalla breve e stralunata vita del comico statunitense Andy Kaufman (1949-1984) non solo per parlare di un tema a lui caro come quello dell’uomo di fronte all’arte, già affrontato in “Amadeus”, ma anche per avventurarsi in una originale visione e rappresentazione della realtà fatta con le lenti caleidoscopiche di uno spirito unico. In un mondo che è una beffa perfino di fronte alla morte Andy Kaufman non è affatto l’uomo della luna, semmai colui che lo ha capito meglio di tutti: e il continuo inganno perpetrato ai danni del suo pubblico una vera lezione di metafisica a vantaggio degli spettatori stessi. La demistificazione della realtà, la sistematica violazione di tutti i codici di comunicazione, teatrale, televisiva, dello spettacolo in genere, sono il mezzo adoperato per raccontare il suo stupore di fronte a una vita che si evolve sempre verso le direzioni più imprevedibili, di fronte a un mondo che parla una lingua diversa e intraducibile nella sua. Forman cuce con maestria addosso a Carrey i panni dell’eclettico, ambiguo Kaufman, uomo senza una identità definita, fluidamente sospeso tra l’estro artistico e la sua negazione distruttiva; un comico che non ama far ridere, un ragazzo che sogna lo show business e il pubblico del Saturday Night Live ma che non sa né vuole intrattenerlo, un comico che legge Scott Fitzgerald anziché fare una imitazione, un personaggio spigoloso, difficile, talora spiacevole. Sono proprio queste complessità che fanno di Kaufman un protagonista ideale per un one-man-show come “Man on the Moon”, così come sono esse che fanno apparire estremamente felice la scelta dell’interprete, il fastidiosamente bravo Jim Carrey. L’energia che l’attore canadese riversa nell’interpretazione, come sempre al livello di guardia e continuamente a rischio di debordare, è particolarmente necessaria per dare spessore e forza d’impatto a un personaggio come Andy Kaufman, per renderne con verosimiglianza i tumulti interiori, le nevrosi, l’irrequietezza continua. Dimenticato per la seconda volta agli Oscar, Carrey conferma, dopo “The Truman Show”, di avere doti fuori del comune, e di pagare l’ottusità dell’Academy, incapace di comprendere e, dunque, superare con ironia la benevola stupidità dei suoi lavori precedenti. Nelle provocazioni di Kaufman, di cui Carrey è peraltro un grande estimatore, si riconosce una qualche somiglianza con la carriera controcorrente del comico canadese. Il regista e gli sceneggiatori fanno il resto, l’uno girando con bravura, gli altri costruendo un racconto efficace e una degna cornice narrativa fatta di comprimari e digressioni che non fanno altro che catalizzare ancor meglio l’attenzione sull’unico, straordinario protagonista. |
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