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Ispirato al romanzo omonimo di Ian McEwan. La giovane Bryoni Tallis a soli tredici anni ha già una forte passione per la scrittura e una vivida immaginazione. E questa passione la porterà a commettere un atto che rovinerà la vita di sua sorella Cecilia e del suo giovane innamorato Robbie, figlio della governante, che verrà ingiustamente accusato di violenza sessuale. Nel corso della sua vita Bryoni cercherà di espiare la sua colpa scrivendo un romanzo per raccontare la verità sui fatti accaduti... |
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L’espiazione è quella di Joe Wright, che dopo “Orgoglio e pregiudizio” si dedica alla letteratura seria e porta sullo schermo il romanzo di Ian McEwan. Detta così è un po’ esagerata, ma c’è una differenza enorme (non a livello letterario, come detto sopra, ma cinematografico) tra lavorare sul libro di Jane Austen e farlo su un’opera di McEwan: c’è differenza perché per realizzare “Orgoglio e pregiudizio” bastano un buon budget, validi costumisti e un bravo direttore della fotografia, mentre per “Espiazione” si tratta di dare forma alle scelte narrative dell’autore, di togliere il meno possibile alla forza delle sue descrizioni nel passaggio dall’immaginazione alla figurazione, di ricreare un ritmo che una narrazione piana non può avere.
In pochi avrebbero scommesso sulla riuscita di questa operazione.
“Espiazione”, contro le aspettative, è fatto bene: diviso in tre parti, così come il romanzo omonimo, fa vivere alo spettatore gli stessi stati d’animo del lettore, e già questo è un successo pieno. Una prima parte noiosa, apparentemente inutile (e conoscendo i trascorsi del regista troppo simile al film precedente per non avere almeno la tentazione di alzarsi ed uscire dalla sala), è condotta con un ritmo a tratti incalzante, frutto di un montaggio non convenzionale, teso a rispettare il punto di vista dei personaggi invece che la scansione temporale dell’azione. Merita gli elogi Paul Tothill per non aver ceduto alla tentazione di lavorare sulla falsariga di “Orgoglio e pregiudizio” in questa parte del film così simile al precedente (la stessa Keira Knightley suggerisce la similitudine tra i due film).
Con l’inizio della seconda parte assistiamo a un vero e proprio cambio di ritmo, tale e quale al libro: le scene della ritirata di Dunkerque sono splendide e Wright mostra tutta la sua intelligenza con un lunghissimo virtuosismo proprio nel momento in cui allo spettatore comincia a mancare il fiato. La carrellata quasi infinita sulla spiaggia, al di là della spettacolarità delle immagini, richiama da molto vicino il divertissement di Kenneth Branagh ne “Il flauto magico”, con la differenza che in quel caso si trattava di una scena interamente costruita al computer.
L’ultima parte, ovviamente, spiega il senso delle prime due, dividendole tra realtà – il momento della colpa – e finzione letteraria – l’espiazione, così come raccontata nel romanzo autobiografico di Briony Tallis. Ci lascia una Vanessa Redgrave portatrice di una grandissima dignità nel momento in cui rivela la propria colpa e, in un’escalation negativa, il rimedio mai posto e l’inganno del lettore, al quale il suo testamento letterario lascia credere ben altro. La colpa di una bambina, per sua natura passibile di perdono, diventa smisurata nella finta verità di un’anziana scrittrice, che chiude con una bugia la sua carriera iniziata a tredici anni. |
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Commenti del pubblico |
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