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India. Un malinconico uomo di mezza età scende frettolosamente da un taxi e insegue un treno in partenza. Durante la corsa si accosta a lui un individuo allampanato, più giovane, che gli lancia un'occhiata fugace e lo supera riuscendo a salire al volo sul treno. Da questa pittoresca corsa al ralenti inizia il viaggio del treno per il Darjeeling, lo sgangherato convoglio che ospita i tre fratelli Whitman durante il loro tragicomico viaggio indiano, alla ricerca della madre, diventata suora attivista. |
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L’idea di cinema che ha Wes Anderson è ricca di personalità, creatività e postmoderna profondità, molta più di quanto si possa comprendere a un primo veloce approccio. La grandezza del rigonfio e grottesco stile narrativo, che il giovane regista texano applica puntualmente in ogni suo film, sta infatti proprio nella sua caleidoscopica complessità. L’universo raffigurato dai tre fratelli Whitman, impegnati in un viaggio fisico e spirituale, è così instabile e pronto a esplodere, da farci varcare il teso confine dell’assurdo messo in scena, costringendoci ad auto-dichiararci sconfitti di fronte alla insensatezza della modernità. Ne “Il treno per il Darjeeling” Anderson gioca, infatti, a distruggerla dall’interno, proponendo un cortocircuito tra perfezione estetico-materiale e caos emotivo-intellettuale. Tutto, a partire dal montaggio, contribuisce all’interessante e virtuosa visione delle nevrosi e delle manie contemporanee, proponendo, in maniera lievemente eccentrica e forse altezzosa, un itinerario metaforico che sfrutta la grottesca comicità per proporre spirali psicologico-narrative sostanzialmente irrisolvibili. La natura tecnicamente ipertestuale della vicenda tende infatti a rimandare continuamente una risoluzione geometrica dei fatti.
Eleganza e sarcasmo dominano così la scena, attingendo ripetutamente alla fervida immaginazione del regista, che si avvale di facce multiformi come quelle dei soliti Owen Wilson e Jason Schwartzman ma anche della new entry Adrien Brody. Natalie Portman è sì protagonista, ma solo del delizioso cortometraggio di 10 minuti – “Hotel Chevalier” – proposto prima del film, al quale è strettamente legato fungendo sostanzialmente da prologo. Tutti i personaggi de “Il treno per il Darjeeling” sembrano giocare con lo spettatore, ammiccando continuamente al loro strato di sensibilità più nascosto, rimandando reiteratamente ad altri film - compresi “I Tenenbaum” o “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” – ma soprattutto a immagini fuori da ogni regola spazio-temporale, presenti ma sepolte nella nostra memoria.
“Si scopre qualcosa. – dice Wes Anderson - Non si inventa né si crea: si cerca”. Il suo modo di cercare un senso è così sgangherato e autentico che, una volta sintonizzati sulla sua stessa lunghezza d’onda, ci regala momenti di vera poesia. |
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uno dei capolavori di wes anderson. una colonna sonora che ti conquista già dai primi kinks e non ti delude mai per classici come rolling strones. un film mai scontato e sempre coinvolgente, un film che sa farti ridere e commuoverti, un film come pochi. leggero ma impegnato che merita come pochi.
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