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Andy Warhol Le parole su carta di Warhol

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a cura di Andrea Peresano
Andrew Warhola nel giro di trent’anni è riuscito a ritagliarsi un posto non indifferente nel panorama artistico internazionale contemporaneo, e lo ha fatto a modo suo, dissacrando con tranquillità e pacatezza.
Il suo percorso è stato più che altro legato alle arti figurative e visive in generale, ma non ha trascurato tentativi in molti altri campi.
Da personaggio eclettico a tutti gli effetti quale era, non poteva, perciò, tralasciare le arti letterarie e non lasciare un segno anche in queste.
Tante sono le pubblicazioni su di lui, ma in che rapporti è stato Warhol con l’arte letteraria e le parole su carta in generale? Quali sono state le sue più rilevanti produzioni scritte?
Innanzitutto è giusto ricordare una figura che lo accompagnò e che fu uno dei suoi amici più intimi, lo scrittore americano Truman Capote (1924-1984). L’autore di “Breakfast at Tiffany” (1958) è stato l’ispiratore con i suoi scritti delle prime produzioni dell’artista, opere con le quali Warhol tenne la prima personale.
La sua produzione scritta è più che altro di carattere saggistico e memoriale. Da un lato, importante documentazione sociologica della società americana del tempo, e, da un altro, testimonianza del suo originale modo di vedere il mondo.
Verso la fine degli anni ’60 pubblica il suo testamento ideologico, “The Philosophy of Andy Warhol (from A to B and back again)”, una raccolta di discorsi privati dell’artista sulle tematiche centrali di molti suoi lavori (sesso, cibo, bellezza, fama e denaro fra gli altri) e, ricordando la sua personale crescita nella New York delle celebrità, al tempo stesso un’analisi della cultura americana del tempo. Capote lo definirà “acuto ed accurato” nella stesura di queste pagine.
Degli stessi anni l’esperienza nel mondo della carta stampata, mettendo alla luce una rivista mensile, “Interview”, nel quale personaggi famosi si intervistano fra di loro. Interessante a questo proposito quando dichiara: “Una buona ragione per essere famoso è che conosci tutti quando leggi le storie sulle grandi riviste. Pagina dopo pagina, sono tutte le persone che hai incontrato. Io amo questo tipo di esperienza di lettura, ed è il miglior motivo per essere famosi.”
Ma il vero ed unico tentativo letterario di Warhol è il libro “A: a novel”. Un testo messo insieme sempre nella decade degli anni ’60 che, purtroppo, arriva al pubblico con un ventennio di ritardo. Pubblicato solo nel 1998, undici anni dopo la sua morte, è la perfetta trasposizione letteraria del concetto di prodotto artistico indagato da Warhol. Il tentativo di trasformare un oggetto comune ed anonimo come un libro in un opera di Pop Art, mettendo in discussione ancora una volta l’idea del pezzo unico creato dall’artista attraverso la riproduzione in serie a cui sarà sottoposto il testo.
A: a novel” è la trascrizione di varie registrazioni in presa diretta dei discorsi fra i personaggi che si aggiravano dentro e fuori della Factory. Artistoidi, drogati e freaks di ogni genere parlano fra loro, come se il microfono non ci fosse, di tutto, da problemi personali alle quantità di anfetamine da assumere.
In questo modo Warhol propone un altro e nuovo aspetto del suo concetto di cooperazione nella produzione artistica. Il libro è ovviamente di una frammentarietà e una difficoltà di interpretazione enorme, basti pensare che vengono riportati tutti i suoni presenti sui nastri, e che le discussioni spesso non sono lineari.
Ritornerà poi a scrivere in maniera rilevante solo una decina di anni dopo, con “POPism, the Warhol Sixties” (1980), scritto a quattro mani con Pat Hackett e che Martin Scorsese definì “una vivida ri-creazione di un grande periodo per vivere e di un grande periodo per morire”.
È la storia dei favolosi anni sessanta, dell’epoca delle rivoluzioni per eccellenza, raccontata dall’interno e da chi in quegl’anni era sulla cresta dell’onda nel vero senso della parola.
Sfogliando le pagine troviamo un bestiario di personalità e comportamenti, dalle celebrità più disparate a sconosciute drag queen che all’epoca provarono i famosi 15 minuti di fama, riportati ed analizzati con l’ottica dissacrante e desmitificatrice caratteristica di Warhol.
Qualche anno dopo gli si affianca il volume “America” (1985), una selezione fotografica della realtà quotidiana americana nuda e cruda presa dall’archivio di immagini accumulate dall’artista in più di dieci anni.
Rilevante a proposito della sua esperienza personale anche il volume “The Andy Warhol Diaries” (1991), pubblicato postumo e curato ancora da Pat Hackett, e che, oltre ad essere un campionario di gossip su personalità di vario calibro, ci presenta un Warhol più intimo, maniacale ed ossessivo all’inverosimile, e aggiunge altri elementi al quadro generale della società in cui l’artista si mosse e dell’immagine del suo mitico epicentro: Manhattan.
Quindi, in conclusione, un personaggio come lui, da grande comunicatore qual'è stato, non poteva non esplorare le possibilità dategli dalle parole scritte su carta, ma con scarsissima rilevanza da un punto di vista letterario, e, forse, senza neanche preoccuparsene troppo, con l’indifferenza che sembrava avere per molte cose.

Le pubblicazioni presenti in Italia sono:
• “A. Un Romanzo”, Andy Warhol, NEWTON & COMPTON, 1999, Collana NUOVA NARRATIVA NEWTON
• “La filosofia di Andy Warhol”, Andy Warhol, COSTA & NOLAN, 1998, Collana I TURBAMENTI DELL’ARTE