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Andy Warhol Warhol tra Pop Art e Business Art

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a cura di Vaniel Maestosi
“La Business Art è il gradino subito dopo l’arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. Voglio essere un Business Man dell’arte o un Artista del Business. Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante...fare soldi è un’arte, fare buoni affari e la migliore forma d’arte.”
Questa dichiarazione di Andrew Warhola, originario della Carpazia (poi celeberrimo americano nominato Andy Warhol), risale all’indomani dell’attentato che, il carpaziano più americano della storia, subì nel 1968 e che gli provocò, nell’ordine: un coma; quest’altra dichiarazione:"prima che mi sparassero, ho sempre avuto il sospetto che, invece di vivere un’esistenza reale, stessi guardando la televisione. Nel preciso istante in cui mi sparavano seppi che stavo guardando la televisione."
Queste due citazioni, scelte warholianamente e ovviamente a caso, mettono ben in rilievo non l’eccentricità del personaggio (come ogni buon articoletto su Warhol esigerebbe) ma la lucidità quantomai autistica dell’Artista del Business. Lucidità qui intesa non (come il buon lector in fabula s’aspetta) quale astuzia e scaltrezza nell’”arte di far soldi”, ma come capacità di riduzione radicale della propria esistenza ad obiettivi parziali intellettualisticamente scelti.
Insomma in tal sede s’apprezza la freddezza della maschera, del crearsi altro da ciò che si è, plasmandosi come ci si vuole.
Il tanto cantato camaleontismo di Warhol è tutto qui: nella freddezza che, da un lato, rendeva autentica ogni sua maschera, dall’altro acuiva il suo innato fiuto per la trovata comunicativa (volgarmente detta pubblicitaria). Il camaleontismo si profila, in tutta la sua carriera, come una costante metodologica: inizia come disegnatore pubblicitario, fa i soldi, ma non è soddisfatto.
Vuole entrare nel tempietto dell’arte. Intanto in Inghilterra, nel 1957, sir R. Hamilton (pittore, si dice) da una prima definizione della pop art, un’arte che si propone di indagare i fenomeni di mitizzazione degli oggetti e delle immagini di consumo nella comunicazione di massa, avvalendosi, con finalità demistificatorie, di tutta una iconografia ispirata alla popular imagery.
Negli anni sessanta il linguaggio pop si diffonde anche in America dove spazza via gli ultimi residui dell’informale, come si palesa nell’opera di Rauschenberg dove, nelle opere di questo periodo, si mescolano elementi pop e oggettivi a tessuto pittorico di derivazione astratta.
Proprio in questi anni Warhol tenta la scalata all’olimpo artistico: J. Johns e Rauschenberg stesso non danno confidenza al ragazzo inopportuno. Ma il suo fiuto per aromi e desideri dell’ambiente che lo circonda lo portano alla svolta: scoperte le tecniche serigrafiche e di blotted line (che permettono a Warhol di fare un ritratto in 4 minuti) inizia quell’opera di palesamento della ripetitività e riproduzione serializzata che lo renderà una star.
Le bottiglie di Cocacola, Marylin, immagini ripetute di un artista che si fa macchina commerciale e che, della macchina commerciale, mima le modalità. "Rappresentare solo ciò che soffre di un eccesso di rappresentazione", in tal modo Warhol diviene il re del pop art pur non essendo riconducibile alla pop art come la intendeva Hamilton o lo stesso Rauschenberg.
In Warhol è assente, infatti, l’assunto demistificatorio; la serializzazione di immagini non sta a simboleggiare (come l’esegeta divinatorio vorrebbe) l’insensatezza delle immagini, ma l’amore che lo stesso Warhol nutre per esse, perchè fanno parte della sua cultura (americana) Warhol come storia dell’arte, in Warhol, una retrospettiva 1990>.
Insomma si è già, con un piede, nella Business Art, nella creazione della Factory, la fattoria degli animali warholiana, dove i suoi collaboratori lavoravano ai suoi progetti e al suo business.
Alla domanda sul perchè era passato alla pittura rispose, tra il paradossale e il veritiero, “Uhm...beh...è Gerard che dipinge i miei quadri”. Pasolini scrisse un’introduzione alla “catena” di dipinti Ladies and Gentlemen, ribadendo la straordinarietà con cui l’opera di Warhol testimonia, in tutte le sue contraddizioni, l’humus culturale statunitense, in cui nasce e dal quale contrae l’immaginario iconografico e mentale.
Scrive Pasolini: “A tale modello non ci sono alternative, solo varianti. L’uomo americano è unico, malgrado il pluralismo effettivo e riconosciuto. E’ più forte, insomma, il Modello che le infinite persone reali che possono passare per la 42ma strada alle ore 7 di una sera d’estate. Se poi l’ambiente “prelevato” si restringe al “golden grape”, esso nulla può opporre al modello, se non delle varianti ridotte al minimo: un’iterazione ossessiva, l’Ossessione.”
1986: ultimo, mortuario, self-portrait di Warhol: poker face...e sul tavolo niente più chips.