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La vera storia di un uomo con una terribile deformità fisica utilizzata come attrazione in un circo ambulante. Solamente una persona lotterà per ridargli la dignità di un essere umano... |
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"Tu non sei l'uomo elefante...Sei Romeo!"
Sicuramente uno dei film più toccanti e intensi del “visionario” Lynch, The elephant man è la storia -drammaticamente vera- di Joseph Merrick, affetto da una malattia incurabile che lo rese mostrosuamente deforme. Trattato alla stregua di un animale, esibito come fenomeno da baraccone in diverse fiere da un uomo senza scrupoli che vede in lui solo una fonte di guadagno, l’”uomo elefante” viene salvato da un giovane luminare che gli procura una stanza dove dormire nell’ospedale dove lavora. Lentamente Joseph inizia una nuova vita e, ancor più importante, ritrova una dignità che mai gli era stata riconosciuta per via della sua miserevole condizione fisica. Le violenze, la derisione, i soprusi del passato sembrano solo un ricordo, grazie all’atteggiamento premuroso del dottor Treves, che riesce pian piano a penetrare all’interno di quel corpo così ripugnante, per incontrarvi un animo nobile e gentile. Proprio questa discrasia tra il reale (il corpo) e l’intangibile (l’anima) è sempre stato un tema caro a Lynch, un viaggio teso ad andare oltre le apparenze, oltre il superficiale e il tangibile. Il male, sembra dirci, risiede in una società che ha paura e non sa accettare il diverso. Emarginandolo. Nella scena più commovente vediamo Joseph scappare dalla folla che barbaramente lo insegue, per poi gridare con voce sempre più flebile: “non sono un animale…sono un essere umano…un uomo!”. E’ l’unico lamento che ascoltiamo in tutto il film, parole laceranti cariche di effetto, atto di redenzione dopo anni e anni di discriminazione, passati al freddo delle roulotte o nello sporco delle gabbie dove era rinchiuso. La mano maestra di Lynch descrive perfettamente questa situazione dis-umana riuscendo ad evocare la Londra vittoriana dell’epoca grazie ad un bianco e nero superbo, quasi teatrale. Le interpretazioni magnifiche di Hopkins e Hurt, accompagnate dalla suggestione di certe atmosfere e la genialità di certe scene, fanno di questo secondo lungometraggio del regista del montana un capolavoro assoluto, un manifesto all’umanità e un inno alla tolleranza, valori universali e senza tempo troppo spesso calpestati dalla mostruosità di chi solo sa giudicare l’apparenza. |
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Lynch, gettato su una tematica non troppo distante dalla sua filosofia, sforna un film intriso dei suoi elementi stilistici più riconoscibili, ma allo stesso tempo accessibile ad un pubblico anche totalmente estraneo ai suoi lavori. The Elephant Man ritrae una figura mortificata e deforme eppure estremamente umana e capace di comunicare attraverso dialoghi, movenze e gesti, la stessa empatia provata dai personaggi che gli stanno attorno.
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Il secondo film di Lynch e' una bellissima e commovente parabola sulla figura del "mostro": John Merrick, affetto da una malattia incurabile e di aspetto ripugnante, trattato come fenomeno da baraccone e sfruttato, possiede un cuore e un'anima piu' grandi di gran parte della gente e non e' un caso se a mettere piu' paura sia proprio la "gente normale" invece che il povero John. Girato in uno splendido bianco e nero(di Freddie Francis), grazie ai costumi, alle scenografie e alla regia, The Elephant Man ricrea alla perfezione l'atmosfera cupa e nebbiosa della Londra vittoriana e degli horror anni 30.Il film tocca temi importanti come la diversita', lo sguardo e (piu' di tutti) la dignita'. Grandissimo il cast con una menzione per Hurt, costretto a recitare sotto un pesantissimo trucco.
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