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Nel 1959, Truman Capote viene a sapere del brutale assassinio di una famiglia di quattro persone in Kansas e decide di scrivere un articolo, che finirà per diventare la sua opera più importante - 'A sangue freddo'. Durante le ricerche Capote imparerà a conoscere gli assassini, e in particolare stringerà un rapporto amichevole con Perry Smith, un uomo tranquillo e complesso con un passato molto difficile... |
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La nascita di un capolavoro, la fine di uno scrittore.
“A sangue freddo” rappresenta per Truman Capote il punto di non-ritorno; a sangue freddo, il libro di Gerald Clarke ne ripercorre le fasi, dall’articolo di cronaca che desta la curiosità di Capote all’esecuzione che lo sconvolge.
A sangue freddo, Capote entra in contatto con Perry Smith, ne raccoglie le confidenze, dai racconti d’infanzia fino agli omicidi per cui sta per essere giustiziato, ne prolunga l’agonia finché non ha ascoltato tutto quello che gli serve per finire il suo libro. Al suo capolavoro serve un finale che non può trascendere dall’esecuzione di Smith e Hickock: non sono né lo Stato né le sue leggi a giocare con la morte dei due, ma è uno scrittore che li muove come pedine d’un romanzo.
La realtà è modellata da Capote a proprio piacimento, al servizio della sua opera; nel momento in cui i suoi personaggi hanno dato tutto, non vede l’ora di sbarazzarsene.
Ma il sangue, non è così freddo.
Il rapporto con Perry Smith è fin troppo sincero, almeno quando non c’è di mezzo il libro; Truman ricambia la fiducia del prigioniero aprendosi a lui, condividendo un passato comune di sofferenze, di rifiuti. L’interesse per la storia di Perry oscilla costantemente tra necessità di informazioni e slanci d’affetto, Truman s’innamora del suo personaggio, dell’uomo che vive nel suo libro, ma anche di quello che lascerà uccidere, riuscendo solo con la sua morte a scrivere la parola ‘fine’.
Una fine che trascende l’opera ed avvolge il suo autore, che combatterà con l’alcool dapprima la propria coscienza, infine se stesso. Nessun altro libro sarà terminato, “A sangue freddo” ha significato troppo, è costato troppo.
Miller porta sullo schermo il testo di Clarke cercando di dare ampio respiro ad una storia angosciante, alternando con campi lunghissimi le opprimenti scene in interno; quando la macchina da presa si sofferma tra le mura del carcere o quelle di un bar, a farla da padrone è Philip Seymour Hoffman, che sfiora la perfezione in un ruolo d’una difficoltà estrema, giustamente vincitore del Premio Oscar.
Un ritratto crudo e sincero, dal quale non esce bene nessuno: a sangue freddo, quasi con crudeltà, come Truman Capote, il geniale, sublime, odioso Truman Capote, è riuscito a meritare.
Presentato fuori concorso al 56° Festival di Berlino. |
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