Se a una festa incontri un architetto, picchialo senza pietà
Apriamo con questa frase di Bob Geldof, non in quanto sintesi del film, ma perché significativa sulla percezione da parte dei profani delle opere di Frank Gehry: quale che sia l’idea di architettura che abbiamo, inclusa quella negativa di Geldof che ne sottolinea le colpe in materia di grigiore urbano, di fronte a Gehry si rimane piacevolmente spiazzati e si finisce, il più delle volte, per ammirarlo sconfinatamente, idolatrandone insieme ai capolavori anche le opere meno riuscite.
Che si debba parlare di capolavori non è in discussione, la parte dedicata al Guggenheim di Bilbao non ha come obiettivo un giudizio ma, al limite, lo ha come punto di partenza. Un punto di partenza che per Sydney Pollack è l’ammissione della propria ignoranza in materia di architettura ma anche di documentari: la miglior premessa possibile, tanto per guardare a Gehry senza pregiudizi, lasciando che sia la verità ad emergere, quanto per dare vita a un’opera non didascalica, lontana dalla monografia e in generale dai canoni del documentario, caratteristica di tutto il cinema del regista americano.
L’altro punto di partenza è ‘hopeless’, la frustrazione della speranza di rappresentare nella bidimensionalità del cinema le opere di Gehry: è un giudizio che risente dell’imparzialità del giudice, come dimostrano gli ‘sketches’ di Pollack. In fondo alla base della costruzione architettonica c’è un’idea, e la prima forma di quest’idea è sempre un bozzetto, quasi uno scarabocchio, su un pezzo di carta (bidimensionale, come lo schermo).
I frammenti che il regista ci propone mancano, per loro natura, di organicità, in compenso tratteggiano un ritratto parziale di Gehry che acquisisce maggiore forza e fascino proprio dalla sua incompletezza: Pollack non ha in mente un punto d’arrivo, non ha una tesi da dimostrare; osserva, domanda, impara.
Lo fa con l’ausilio di una videocamera generale, a tu per tu con Gehry: tutto quel che si perde nella qualità dell’immagine viene recuperato in qualità del rapporto tra l’oggetto della rappresentazione e la macchina che lo riprende, in sincerità. |