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3 ottobre 1993: nel cuore di una Mogadiscio distrutta dalla guerra civile, una missione di una manciata di minuti si trasforma nella più grande tragedia della storia militare americana dopo il Vietnam. 18 ore di massacro, per sequestrare due dei luogotenenti di Mohamed Farrah Aidid, il famigerato "Signore della Guerra". |
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"Black Hawk. Abbattuto."
"Black Hawk Down" è, prima di ogni altra cosa, il nome di un elicottero. Ed il suo abbattimento; il primo di una serie drammatica di avvenimenti durante la guerra in Somalia a Mogadiscio nel 1993. "Back Hawk": due ore e mezza di reale terrore, di azione pura, incessante, inesauribile e implacabile. Sotto il fuoco dei cecchini che sparano a un centinaio di disgraziati intrappolati negli edifici sotto assedio, come in un videogame esaltato dalle ultimissime tecniche di ripresa, fra il fumo dei pneumatici incendiati per confondere il carosello degli elicotteri sopra i tetti. Più ci si inoltra nella descrizione degli avvenimenti (forse il vero eroe del film è Pietro Scalia, il grande montatore), più ci si rende conto che non ci sarà via d'uscita, nessuna remissione. Che, una volta tanto, i nostri tarderanno terribilmente ad arrivare. Il realismo (brutale) di Ridley Scott ci riporta con i piedi per terra. Mostrandoci, fino all'intimità delle carni lacerate, quale realtà agghiacciante si nasconda dentro il fatto (classico) di cronaca reso ormai anonimo, assimilato nel "rito" (sempre più indolore) del telegiornale serale.
"Black Hawk Down" rimarrà fra gli esempi memorabili di quello che è pur sempre un genere tradizionale, il film di guerra; e non solo perché la riflessione che suscita non nasce dal (solito) indignato rigore morale, ma perché, fra le righe di una sapienza che potrebbe anche essere soltanto sbrigativamente tecnicistica, fa capolino un "orgoglio" cinematografico (in movimento) che non è nemmeno quello del migliore John Wayne: la forza dei codici espressivi e dei contenuti. L'uso dei primi piani e dei dettagli, l'angolazione, la prospettiva e la plasticità delle immagini offrono una precisa disposizione degli eventi e dei luoghi; la mobilità delle inquadrature permette subito di avvicinarsi alla realtà della guerra e del dolore; il suono e i rumori amplificano la drammaticità degli eventi. Un film, quindi, di straordinario impatto visivo, ma capace di trasformare il primo compiacimento dello spettatore in uno sguardo capace ad afferrare l’immagine concreta dietro l’apparenza.
Oscar per il miglior montaggio e per miglior sonoro (2002). |
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Scott catapulta lo spettatore in mezzo alla guerra: Black Hawk Down e' con tutta probabilità la battaglia più lunga ed estenuante che si sia vista sullo schermo. Lo stile frenetico, secco e cruento del regista fa si che in diversi punti ci si sente esattamente come i soldati coinvolti nel caos e nell'orrore della guerra: si prova tensione, disgusto, confusione. Il difetto sta nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, che trasformano i marine americani in spavaldi cavalieri senza paura con abbondante retorica. Fondamentali gli apporti della fotografia, del montaggio e del sonoro.
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Per la qualità della regia e della fotografia e la resa delle scene di guerriglia urbana (montaggio e sonoro eccezionali) è da considerare fra i migliori film di guerra mai realizzati.
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