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Sulla storia e la sceneggiatura di questo film di Avati non c'è molto da dire; molto belle entrambe. Il figlio che ricostruisce un rapporto inesistente con il padre morto perdendo lucidità e piombando nella follia commuove e colpisce. Quello che non convince è la regia, la messa in scena: a volte si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un thriller psicologico girato nella roma dei b-movie, ti aspetti che un assassino con il coltello scintillante coperto da un lungo impermeabile appaia in scena e scombini le carte in tavola, poi le scene sembrano troncate, tagliate...non so realmente se siano scelte oculate ma mi sembra che per questo il film dia l'impressione di essere un po' raffazzonato.
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Pupi Avati non ha mai sfornato capolavori, ma da sempre ha abituato il suo pubblico a film di discreto livello, realizzati con frequenza invidiabile, degna di Woody Allen. Questa volta, però, dopo la parentesi televisiva, il risultato è un po' al di sotto dello standard consueto: la regia risulta spesso appiattita sul modello televisivo, la sceneggiatura, pur non priva di spunti interessanti, è in fondo fiacca e priva di ritmo, il cast è quantomeno imbarazzante (da Scamarcio, inguardabile quando prova a fare il pazzo, a una Sharon Stone decisamente sul viale del tramonto). Con attori più credibili il film avrebbe meritato una stiracchiata sufficienza, così nemmeno quella. Peccato, perché la riflessione sulla paternità e sul rapporto di odio/amore che si instaura tra genitori e figli meritava un film migliore.
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