“È la normalità la vera rivoluzione”
Pare vero. Il compromesso è la normalità, ed accettarlo non è una rivoluzione, ma una scelta precisa oppure rassegnazione.
Al suo secondo film, Gabriele Muccino punta ad ampliare la fascia di pubblico conquistata con Come te nessuno mai chiamando a rapporto tre generazioni: l’operazione riesce sullo schermo e, soprattutto, al botteghino.
Il nucleo centrale fa leva sui problemi dei trentenni nel momento fatidico della costituzione di un nucleo famigliare: le reazioni, che contemplano l’intera gamma dalla separazione e il tradimento alla serenità o al menefreghismo, nascono dal generale (e generalizzato) complesso di Peter Pan. All’analisi maschile, non profonda ma sufficientemente differenziata, corrisponde un universo femminile appiattito in personaggi senza spessore né variazioni caratteriali.
Attorno alla crisi della generazione di mezzo, ruotano i primi e gli ultimi grandi problemi esistenziali, le illusioni sul vero amore e le delusioni d’una vita senza novità, senza più sorprese. Lo smarrimento del sentirsi ‘nonni’ da un giorno all’altro, di scoprirsi fuori tempo massimo, di trovarsi in quell’ultima parte del percorso vitale in cui la strada è dritta e senza più diramazioni, non è cosa nuova ed una crisi in fieri da prima della notizia ‘sconvolgente’ non apre spazio a nuove riflessioni.
Il personaggio di Francesca invece serve solo come fattore di disturbo nel rapporto tra Carlo e Giulia e, in seconda battuta, al debutto cinematografico di una seducente Martina Stella: ma dietro l’apparente analisi del ‘primo bacio’, Muccino evita di tornare su un tema già trattato con discreto successo.
Il film, così strutturato, dovrebbe reggersi sui dialoghi attraverso i quali protagonisti e non esternano i propri sentimenti: a parte il “non urlare, ti fa male!”, una delle poche perle del personaggio di Accorsi, assistiamo ad una sequenza di banalità che termina solo col discorso finale di Emilio, il padre di Giulia. È lei, con le sue pretese, le sue isterie, il suo integralismo, il centro di gravità del film: Giovanna Mezzogiorno, lanciata proprio da questa pellicola, è l’unico personaggio che riesce ad essere credibile nelle sue sfuriate; solo nel finale perde forza e, come tutti gli altri, cede al compromesso.
I titoli di coda, sulle note de “L’ultimo bacio” di Carmen Consoli, forse la cosa migliore del film, ci lasciano un gruppo di persone, paradigma dell’intera umanità, costretti loro malgrado ad imparare ad invecchiare. Tra sofferenza e soddisfazione, si rivelano tutti incapaci di imporsi, di sottrarsi alla necessità di scendere a compromessi, incapaci di scegliere. Altro che gocce di limone, l’ultimo bacio è una pietra. Sopra. |
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