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Anni Sessanta, New York. Shakes, Michael, Johnny e Tommy sono ragazzi difficili accuditi da un prete a Hell's Kitchen. Ma nonostante la protezione del sacerdote, il gruppo si rovina per uno scherzo di cattivo gusto, che porta alla morte di un uomo. I quattro sono arrestati e condannati, ma si vendicheranno a distanza di anni. |
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Barry Levinson, regista e sceneggiatore, ci porta nel West Side di Manhattan, a Hell’s Kitchen, luogo definito di innocenza governato però dalla corruzione. Siamo negli anni ’60 e il quartiere si divede attorno a due poli, padre Bobby e King Benny, espressioni, entrambe molto sui generis, di chiesa e malavita. I quattro protagonisti, adolescenti, sono attratti tanto dal carisma di padre Bobby quanto dall’idea dei primi guadagni ‘facili’, ma il giorno che cambierà le loro vite per sempre (così lo introduce la voce off di uno dei ragazzi) è tutto opera loro: la mezzora di prologo si chiude con l’arresto e la reclusione dei quattro nel riformatorio Wilkinson, uno degli emblemi dell’ipocrisia americana, specializzata nel non voler guardare al suo interno nascondendosi dietro rassicuranti facciate – per non parlare dell’impossibilità di un recupero sociale così come il sistema pretenderebbe.
Se di norma al prologo segue l’azione, in “Sleepers” ne segue un altro: l’anno passato nel riformatorio corrisponde a un’altra mezzora di preparazione (inutile sottolinearlo, è uno sproposito), nella quale il dato significativo è il cambiamento interiore imposto ai quattro ragazzi.
Con un salto di 13 anni che apparentemente divide in due il film (non è così, semplicemente introduce l’azione dopo un’ora di preamboli) si consuma la vendetta: in questa parola è racchiuso il significato del film, così lungo proprio per giustificare, preventivamente, la vendetta combinata dei quattro protagonisti.
Lo stile di “Sleepers” è discontinuo, ma non allo stesso modo della trama: se questa è divisa in più blocchi, stilisticamente il film tende a ripetersi sulla distanza, ma si contraddice spesso nel giro di una scena, come la sequenza in chiesa, con una bella rotazione di macchina attorno a Shakes in ginocchio tra candele dopo una brutta carrellata verticale su una statua di Gesù.
Non è esente da critiche nemmeno l’inserimento della storia in una realtà sociale che si intende criticare e, al contempo, l’intenzione di non andare oltre questo microcosmo, con facili (e sbagliate) etichette quali ‘facce di gente protetta dal denaro e dalla posizione sociale’ in riferimento alle proteste del ’67: di fronte a una sparata del genere, Levinson fa passare per positivi, attraverso buone azioni nel quotidiano, i suoi protagonisti – che se si beccano un anno di riformatorio qualche colpa ce l’avranno pure.
A salvare il film, anzi a dargli un grande impulso, è il comportamento degli attori: misurati Robert De Niro e Vittorio Gassman, bravo a ritagliarsi il suo spazio nel poco tempo concessogli Dustin Hoffman, ma anche i quattro ‘giovani’ se la cavano bene, sostenendo così un’azione che va per le lunghe senza risultare eccessivamente pesante. |
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