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"Io sono l’acqua... semplicemente fluisco. Non ci sono sistemi o ideologie. Ma se qualcuno guarda i miei film secondo una linea consequenziale, collegando il precedente al successivo, credo abbia tutta la libertà di farlo." - Kim Ki-duk
Il Castoro presenta la prima monografia italiana dedicata a uno dei registi più controversi e ammirati del cinema orientale, che, come pochi altri della sua generazione, ha raccolto su di sé in parti uguali apprezzamenti e critiche feroci, autore in breve tempo e con furia bulimica di molti film. Di certo uno dei registi meno definibili, capace di sfuggire a ogni pretesa di facile inquadramento critico ed estetico.
Il cinema di Kim Ki-duk procede a scarti, cambiando di continuo direzione, secondo un ribaltamento continuo delle attese di pubblico e critica, seguendo un percorso imprevedibile come, per l’appunto, il fluire dell’acqua. È possibile dare una definizione del suo cinema?
Come metterlo in relazione al panorama del cinema coreano contemporaneo, di cui è espressione e al contempo da cui Kim Ki-duk si è sempre ritenuto estraneo? E ancora: esistono delle trame sottese ai suoi film, dei fili rossi in grado di definire una poetica?
È innegabile che tutta la cinematografia di Kim Ki-duk sia sostenuta da una serie di tracce, (rimandi, ossessioni, costanti, autocitazioni), che servono a stringere i nodi principali da film a film, creando una sorta di disegno sotteso. Così come forse è possibile rintracciare tracce di dialogo tra il suo cinema autartico e il cinema che lo circonda, che è fuori di lui.
Esplorare queste tracce, cercare in che modo i film "parlano" fra di loro e con il mondo circostante può diventare forse allora un modo efficace e affascinante per approfondire il cinema di Kim Ki-duk: attraverso cioè uno sguardo critico che diventi esso stesso "fluido", in grado di afferrare e adattarsi all’essenza di quel cinema di continua evoluzione e cambiamento. |
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