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Una profonda, filosofica, introspettiva, visivamente affascinante analisi del nulla e dei turbamenti esistenziali di chi in questo nulla si muove, vive. Da Los Angeles a Las Vegas sulle tracce di una serie di interminabili e molto cinematografici stereotipi legati allo star system, ovvero quanto di più lontano possibile dalla realtà dello spettatore che spaesato ma ammaliato dalla fotografia, bellissima, e dal punto di vista, dalla poetica, dell'occhio registico cerca inutilmente una bussola che guidi un sofferente e stordito Christian Bale. Prima di giudicare questo film bisogna però cercare di capire che si tratta di un'opera, non perfettamente riuscita e che nella classifica delle opere Malickiane non si colloca molto in alto, che Knight of Cups è un film da vedere e da sentire, abbandonandosi allo sguardo appunto, l'essenza dell'occhio e dello sbattere di ciglia. Forse sarà solo estetica ma è anche e soprattutto cinema. Meditate gente...meditate.
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Malick si dilunga troppo nella sua parabola e finisce per annoiare un po' lo spettatore con scene, personaggi e monologhi un po' ripetitivi; questa lungaggine è però ampiamente compensata dallo straordinario virtuosismo registico e dall'innegabile fascino (mistico, antimoderno, spiritualistico quanto si vuole) che emanano molte scene. Non all'altezza di The tree of life, ma comunque degno di una visione.
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8
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Trovo pesantemente ingiusto che un grandissimo film come questo sia passato così inosservato. Chiaramente non è un prodotto standard del cinema, ma mi sembra sia stato ignorato anche troppo. Knight of Cups è l'n-esimo capolavoro di questo artista, Malick, che anche stavolta regala in due ore una quantità enorme di immagini una più bella dell'altra, che si tratti di ambienti naturali o contesti urbani. Le musiche creano se possibile ancora più atmosfera. Il risultato è un film che personalmente trovo estremamente rilassante e affascinante.
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6
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Il medesimo, ultimo Malick. Manierista di se stesso, dunque (ma con meno potenza visiva). Lo è per regia, sonoro, aspirazioni, atmosfere. Così il Bale che abbacchiato deambula lento, senza scopi apparenti, ricorda tanto il Penn di 'The Tree of Life' o l'Affleck di 'To the wonder'. Di diverso, stavolta, c'è l'ambiente urbano, non più esterno. Centinaia e centinaia di inquadrature, incalcolabili, che subissano fino a sfiancare, letteralmente. L'amore - o la fede, che rimane una forma d'amore - rimane l'unico e fecondo scampolo di vita: più è folle, sregolato, e più riempie. Così Rick, disilluso donnaiolo, professionista in crisi e in cerca di se stesso, pare sorridere solo in quei momenti connotati di follia e spensieratezza. Il cinema di Malick è diventato pura estetica, senza scheletro e polpa. Eppure, personalmente, il torrente di fotogrammi e parole ha minuscoli lasciti: in quell'inquietudine latente, e nelle domande senza risposta, si accendono piccoli fuochi di meditazione.
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