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Recensione: Verso la gioia

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Verso la gioia
titolo originale Till glädje
nazione Svezia
anno 1949
regia Ingmar Bergman
genere Drammatico
durata 98 min.
distribuzione Svensk Filmindustri
cast S. Olin (Stig Eriksson) • M. Britt Nilsson (Marta Olsson) • V. Sjostrom (Sönderby) • E. Josephson (Bertil)
sceneggiatura I. Bergman
fotografia G. Fischer
montaggio O. Rosander
media voti redazione
Verso la gioia Trama del film
Un vecchio violinista rievoca il suo passato: il suo matrimonio è stato un fallimento fino a quando la moglie è tragicamente scomparsa, insieme a una figlia, e anche la carriera artistica gli ha riservato molte delusioni. Il bilancio in passivo sarà per lui uno stimolo a dedicarsi con maggior impegno alla musica e alla figlia sopravvissuta.
Recensione “Verso la gioia”
a cura di Andrea Peresano  (voto: 7)
"… Il segreto dell’arte è creare quando si è infelici…"

Stig Ericsson e Marta Ollson sono due musicisti, due violinisti che si incontrano suonando nella stessa orchestra e si innamorano. Bergman in questo film ne scompone il rapporto di coppia analizzandone le molteplici sfaccettature.
Ma il regista sconvolge tutto partendo dall’inizio della vicenda, mettendoci subito a conoscenza del tragico epilogo che avrà la storia in forte antitesi con il titolo.
La narrazione ripercorre in un lungo flashback i sette anni del loro rapporto, attraversando le prime schermaglie amorose, il matrimonio, le infedeltà e la nascita della coppia di gemelli, gioia finale per i coniugi e speranza per un futuro nell’ultima inquadratura che chiude simmetricamente il film presentando nello sguardo finale del figlio la visuale iniziale dello spettatore.
Bergman non ci presenta una storia d’amore patinata tipica dei rapporti idilliaci che il grande schermo è solito propinare, bensì un rapporto vero, reale, con tutte le incomprensioni e gli egoismi, le paure e le ansie, una relazione fra due persone in carne ed ossa, fra due esseri umani tristi e disillusi e per questo veritieri e contemporanei. Interessante proprio l’attualità dei personaggi creati se pensiamo che questa è un’opera del 1950.
Al nucleo centrale uomo donna vengono poi affiancati attori secondari, satelliti imperfetti che portano solo squilibri, deviano e intralciano l’ascesa dei protagonisti creando terzi poli d’azione e triangoli anomali.
Ovviamente la vita dei due musicisti è accompagnata costantemente dalla musica, da un Beethoven che pregna le scene, alle cui note Bergman sa magistralmente alternare i silenzi, passando da pieno a vuoto sia visivamente che uditivamente a staccare e sottolineare i momenti più intensi.
Le ambientazioni rarefatte a appena accennate in aggiunta alle inquadrature strette che dominano vanno infine ad aumentare il focus stretto sui personaggi, ci portano dentro la scena, affianco dei protagonisti e sottolineano l’effetto claustrofobico e ossessivo voluto dal regista soprattutto nelle sequenze iniziali.
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