Il momento è particolarmente fecondo per i film sulla Seconda Guerra Mondiale, con una particolare attenzione a storie poco note al pubblico; nel volgere di pochi mesi produzioni tedesche e americane affrontano il tema della resistenza, sempre su diversi livelli: quella degli studenti tedeschi de “La rosa bianca – Sophie Scholl”, quella degli ebrei polacchi di “Defiance – I giorni del coraggio”, quella italiana di “Miracolo a Sant’Anna” e adesso quella interna allo stesso esercito tedesco, senza dimenticare il racconto di “Katyn” del maestro polacco Andrzej Wajda. Si cercano storie nuove per rispondere ad un bisogno ancora forte, quello di esorcizzare un passato lontano una vita ma del quale non ci si può liberare.
Bryan Singer imposta un film corale per raccontare l’ultimo dei molti attentati al führer, per ricordare che non tutti lo hanno appoggiato, non tutti sono rimasti in silenzio a guardare. Quello del 20 luglio 1944 non è stato un semplice attentato, ma un vero colpo di stato: sfruttando il piano denominato “Operazione Valkiria” ideato dallo stesso Hitler per difendere la Germania nel caso venisse ucciso, i congiurati prendono il controllo di Berlino per qualche ora, finché non diventa chiaro il fallimento dell’attentato e Hitler riprende in mano la situazione. Punta operativa della cospirazione è il colonnello Claus von Stauffenberg, sopravvissuto ad un bombardamento in Africa nel quale ha perso un occhio, una mano e altre due dita; Stauffenberg subentra al maggiore Henning von Tresckow, già autore di un tentativo andato male, e in questa staffetta troviamo le due star del film, Tom Cruise e Kenneth Branagh, che girano poche sequenze insieme.
La sceneggiatura scritta da Christopher McQuarrie e dall’esordiente Nathan Alexander racconta soltanto fatti appurati da fonti storiche, ma nel modo in cui lo fa privilegia il punto di vista del protagonista, che da ufficiale nazista diventa eroe senza macchia, diviso tra famiglia, patria e bene supremo. E’ una scelta che può dare fastidio, ma non c’è nulla di inventato. Colpisce invece che un regista giovane quale Singer, che pure ha alle spalle un successo del calibro de “I soliti sospetti”, realizzi un film classico, che si ha l’impressione di aver già visto chissà quante volte; la struttura è binaria, con un uso descrittivo delle inquadrature nella prima parte ed uno soggettivo quando l’azione entra nel vivo, senza cadute di stile ma con qualche concessione didascalica (la mano sulla pancia di Nina, i titoli di testa con un uso della bandiera nazista uguale al recente “Il bambino con il pigiama a righe”, e anche lì non era una novità, proveniendo quantomeno da “Indiana Jones”). A proposito di “Indiana Jones”, anche in “Operazione Valchiria” vediamo Hitler firmare con la destra, nonostante tutti sappiano che fosse mancino; in una produzione così costosa qualcuno avrebbe dovuto accorgersene.
Senza poter muovere critiche particolari, la sensazione è quella di un film ben fatto ma senza qualità, senza idee che vadano al di là del raccontare una storia “inedita”. Un racconto che informa ma non coinvolge. |
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