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Due giovani donne, Angie e Rose, deluse dal lavoro e dai continui ingiusti licenziamenti, riversano tutti i loro sogni nel progetto di un’agenzia che offra lavoro alle migliaia di disoccupati stranieri emigrati in Inghilterra dai Paesi dell’Est europeo. L’impresa non è semplice da portare avanti e le difficoltà non poche, ma la buona dose di energia iniziale può far credere che qualcosa di buono può nascere. È difficile però rimanere puri di fronte a tanti soprusi e ai primi guadagni… e anche se gli intenti alla base sono onesti, l’egoismo potrà rivelarsi difficile da controllare. |
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Un Ken Loach denso di drammaticità e al limite dell’umanità quello presentato quest’anno al Lido che, nella sua 64a Edizione, gli conferisce la Menzione Speciale Signis e il Premio Eiuc Human Right Film Awards.
Loach affronta il tema dell’immigrazione, che riassume nella piccola e complicata attività di Rose e Angie impegnate con l’energia e, all’inizio, con il cuore a far decollare una agenzia di lavoro temporaneo che offra “una possibilità di vita” a numerosi disoccupati. Instancabili e piene di vita, le due ragazze affrontano insieme i piccoli attriti che man mano crescono nel rapportarsi con i lavoratori dell’Est, i salari bassi, i doppi e tripli turni, gli accampamenti abusivi, le paghe promesse e non consegnate e qualche piccola vendetta, che sfocia nel privato e atterrisce. Parallela a questo strano mondo, le ragazze di Ken Loach vivono la loro amicizia, non semplice da tenere salda quando si combatte insieme per una causa così delicata. Tutto si muove in Inghilterra, tra vecchie dimesse e sguardi supplichevoli, dove l’atmosfera grigia e il freddo, percepibile dai volti, fanno tappa fissa davanti l’obiettivo. Un freddo che, attraverso la macchina da presa di Ken Loach, riesce a trapelare ovunque: “un Paese duro, come lo sono i vostri occhi”, pronuncia Karol, un giovane polacco.
Del mondo a parte di Loach – un’Inghilterra anni nostri - esiste solo quella facciata: come se tutto ciò che ruotasse intorno non fosse mai esistito; tutto il resto… siamo fin troppo abituati a vederlo. È “un mondo libero” che, per scelta tematica, completa quel quadro registico che lo vede impegnato da anni, nella salda ricerca di comprensione di ciò che fa da scenario alla sopravivenza: rabbia, fame e… illegalità. Il film ha la caratteristica - difficile da trovare in una sintesi così arguta e ben riuscita - di unire tragedia a rapidi e indispensabili scambi ironici che permettono al ritmo di non scivolare mai nell’appiattimento.
La mossa finale però lascia sconcertati. Perché Ken non condanna una “bambolina-madre” che cede all’egoismo per salvaguardare l’amor proprio e di suo figlio? La via intrapresa: quella della redenzione. Forse perché a questo mondo vince chi non si arrende?! |
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