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Siamo nel 1839, gli schiavi africani di una nave spagnola, “La Amistad”, riescono a liberarsi e a prendere il controllo della nave. Tenteranno di tornare in Africa ma finiranno vicino alle coste americane e saranno catturati dalla marina statunitense. Contro di loro inizierà un processo per l’omicidio dell’equipaggio spagnolo e una contesa con la Spagna che continuerà per anni. La vicenda legale comunque si concluderà bene, ma si caricherà pian piano di grande significato politico: la lotta fra abolizionisti e schiavisti, stati del nord e stati del sud, preludio di una guerra civile. |
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Il “grande artista popolare”, come è stato definito Spielberg, ci regala un’altra opera moralistico-didattica, ma indubbiamente molto coinvolgente. Realistico e crudo sullo stile di “Shindler’s List”, tanto da esser stato vietato ai minori, parla delle discriminazioni razziali ricostruendo un fatto storico: la contesa della nave spagnola “Amistad” e del suo particolare carico, ovvero più di quaranta schiavi africani. La “merce” sarà rivendicata dall’ultima proprietaria, un’adolescente Regina di Spagna, e da vari approfittatori sorti all’ultimo minuto.
Le immagini sono indiscutibilmente imponenti. Molto bella la sequenza iniziale, la rivolta degli schiavi sulla nave, giocata fra luci ed ombre, sangue e pioggia, e fortissimo il racconto del loro viaggio e di tutte le ingiustizie subite. Interessante anche la sintesi dell’eterna situazione africana fatta nella scena del primo incontro con l’avvocato, dove le varie tribù o etnie rivendicano il loro territorio all’interno della cella.
Ma alla maniera del grande colossal la vera storia è romanzata e modificata, con l’inserimento inevitabile di qualche inesattezza storica qua e là. La scoperta del vangelo e del messaggio di speranza in esso contenuto, poi, con la croce ritrovata nell’albero della nave come simbolo di libertà, o la discesa di Freeman nella pancia della nave, fra catene e legno pregni di sangue, caricano lo schermo di significati e sentimenti. Non manca poi il solito finale buonista e a tratti smielato tipico di Spielberg, soprattutto nella tirata di Hopkins alla Corte Suprema, che cita Costituzione ed ex-Presidenti vari, un americanismo francamente di troppo (visto che non siamo convinti di quanto oggi siano superati certi preconcetti), o i mille epiloghi a raccontarci il dopo del dopo.
Da apprezzare invece la scelta di girare nelle diverse lingue, con un conseguente sottotitolato che però non infastidisce più di tanto, rendendo l’idea della prima fra le mille incomprensioni e difficoltà di interazione fra popoli e culture diverse. |