"No soy un libertador. Los libertadores no existen. Son los pueblos quienes se liberan a si mismos"
La bravura (e la furbizia?) di Steven Soderbergh risiede nella sorprendente capacità di alternare, da ormai più di dieci anni, cinema autoriale e cinema commerciale, riuscendo nell’impresa di essere stimato contemporaneamente sia dalla critica che dal pubblico: dal 1989 (anno in cui vinse, giovanissimo, la Palma d’Oro a Cannes) ad oggi i suoi film sono l’esempio di un perfetto equilibrio tra ricerca del successo e della sperimentazione. La grandiosità di un progetto come la biografia di Ernesto Guevara è un interessante ricerca di sintesi tra queste due pulsioni, che si fondono in un’opera ambiziosa e temeraria, purtroppo non pienamente riuscita. Se il primo capitolo Che - L’argentino aveva lasciato qualche perplessità, Che - Guerriglia conferma l’impressione che il regista americano non sia riuscito a dare un’anima al film, una precisa coerenza stilistica: per carità, la straordinarietà del personaggio raccontato costringeva a fare scelte difficili e pericolose, però il risultato finale è un’opera che non riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore, aspetto sorprendente visto che trattava di ripercorrere le gesta di un uomo diventato mito. L’impronta marcatamente documentaristica di questa seconda parte tradisce infatti l’aspettativa di una narrazione che sarebbe dovuta essere necessariamente più pasionaria rispetto alla prima, in cui l’esperienza rivoluzionaria veniva tratteggiata senza pathos, in maniera più narrativa che epica in senso stretto. Solo il drammatico e poetico finale, che descrive la solitudine del Che di fronte alla morte, restituisce emozione e umanità alla pellicola, che abbandona una prospettiva corale e si fa più intima e affascinante; mancando una marcata indagine sociologica sui motivi della disfatta bolivariana, che vengono solo accennati, probabilmente è sulla prospettiva individuale che si sarebbe dovuto lavorare, soprattutto potendo contare su un Benicio Del Toro incredibilmente bravo.
L’onestà del lavoro di Soderbergh è indiscutibile e si riflette nella fedeltà della ricostruzione storica della vita del Che, ma purtroppo a mancare sembrano proprio i tratti distintivi del suo cinema, i suoi punti di forza: la partecipazione e l'audacia. |