Il gioco dell’attesa colpisce sempre meno, fino a due giorni fa la Biennale numero 65 mediaticamente ancora non esisteva, e c’è da aspettarsi che l’eco che lascerà duri quanto le recenti Olimpiadi: i riflettori e le prime pagine, si spengono le luci e le pagine diventano colonne, colonna, trafiletto, memoria. Una memoria che dovrebbe mettere tutti in guardia ed aspettare rivolti ad oriente non l’alba del 6 settembre, ma il prossimo Leone d’oro. Sarà dunque giapponese (russo sarebbe di cattivo gusto, altre nazioni in concorso – tra quei meridiani – non ci sono), ed il più illustre pretendente, Takeshi Kitano, è in gara con “Achille e la tartaruga”: fuor di paradosso, per superarlo ad Hayao Miyazaki o Mamoru Oshii serve un ruggito da Leone. Sarà giapponese, a meno che le ultime dichiarazioni di Marco Müller, a difesa contro le critiche dello “Spiegel”, non siano qualcosa in più di parole di circostanza; mai come quest’anno (o quasi, ma molto tempo fa, quando il nostro cinema era ai vertici nel mondo) la Mostra parla italiano: quattro film (su 21 totali) in concorso, nel tentativo di dimostrare quanto il successo di Cannes non sia stato un fatto isolato. I “magnifici quattro” sono Pupi Avati con “Il papà di Giovanna”, Pappi Corsicato (quanto tempo!) con “Il seme della discordia”, Ferzan Ozpetek con “Un giorno perfetto” e la coproduzione “Birdwatchers – La terra degli uomini rossi” di Marco Bechis; la “magnifica” è, sorprendentemente, Monica Guerritore, in gara con Ozpetek e Corsicato e fuori concorso con “La fabbrica dei tedeschi” di Mimmo Calopresti.
Tra i due poli litiganti, alla fine potrebbe spuntare fuori un Leone a stelle e strisce: i nomi giusti ci sono, da Darren Aronofsky a Jonathan Demme, da Kathryn Bigelow agli “acquisiti” Guillermo Arriaga e Amir Naderi. Del resto a parlare americano si comincia subito, con il nuovo film dei fratelli Coen, fuori concorso, “Burn after reading”. Gli attori – George Clooney e Brad Pitt, ormai coppia di fatto dello star system hollywoodiano – sono già arrivati, il loro primo passo in laguna ha coinciso con l’accensione delle prime luci, dando il via a questi dieci giorni di cinema. Ma il film di Joel ed Ethan Coen non sarà la prima proiezione in assoluto della Biennale 2008: la cerimonia d’apertura ospiterà il cortometraggio del grande vecchio del cinema europeo e mondiale, Manoel de Oliveira, “Do visìvel ao invisìvel”. L’inizio / come eravamo prosegue giovedì con l’omaggio a Valentino (non Rodolfo, ma lo stilista: se non è passato, è comunque un’icona in disuso), appena ventiquattrore dopo il primo omaggio del festival, quello a Domenico Modugno della serata di apertura.
La biennale con più film italiani in concorso sottolinea la sua italianità. Ma lo fa convogliando gli sguardi altrui sul proprio, glorioso passato. Che le luci di domani possano trovare un passato meno remoto al quale aggrapparsi per fare da contorno, e bisognerebbe sottolineare da contorno, all’attenzione per il presente.
Intanto Venezia 65 si è messa in moto, e andrà avanti linearmente, perché la macchina è rodata e non esistono intoppi a questi livelli. Come, dipende se saranno stati bravi in questi mesi loro, e se saremo in grado nei prossimi mesi noi di rendercene conto. Per ora segnaliamo uno sguardo al passato più prossimo, con il Premio Siae alla Creatività a Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, ed uno al presente, con la riconferma del premio Brian, istituito dall’associazione atei italiani, andato l’anno scorso a Sabina Guzzanti.
Domani, i flash, le copertine e forse anche gli articoli saranno per Clooney e Pitt: il festival, per ora, è loro. Forse non sarà un festival per vecchi. |