Le solite carinerie di Hallstrom, il cui unico film veramente riuscito è, secondo me, ‘Chocolat’, invadono prepotentemente una storia tutto sommato godibile nella prima oretta, ma che diventa mielosa e prevedibile nella seconda metà, sorretta dalla bravura della già citata Kristin Scott Thomas, decisamente sprecata per un lavoro del genere. Coma favola non vale niente, forse ha qualche chance di essere considerato un discreto melò.
p.s. Il militare tronista che risorge dalla tomba senza neanche un graffio è una vera chicca

Oltre alla splendida animazione in stop motion, il secondo film prodotto dalla Laika (''Coraline e la porta magica'') presenta una ricchissima storia, adatta a qualunque pubblico: i bambini avranno un pò di paura, ma si godranno anche tanta azione e divertimento, mentre gli adulti apprezzeranno i dettagli sofisticati e profondi della trama, tra omaggi, citazioni, clichè e humor nero. Gioiellino.

diego93, giustificami 7.7 di imdb ;)

Con tre anni di ritardo, grazie alla Tucker Film, arriva anche da noi uno dei tanti esempi di grande cinema orientale contemporaneo, strepitoso per forma, molto originale, e contenuto. Nakashima descrive la caduta delle istituzioni educative nella rigida società giapponese, dove, banalmente, sembra non esserci più amore. La prima mezz’ora è un piccolo capolavoro, le musiche e diversi tecnicismi contribuiscono a creare un’indimenticabile atmosfera raggelante, tanto nichilista da sembrare (soprattutto nel finale) inverosimile.
Forse la cosa che più mi è rimasta impressa è come la mente di un ragazzino ragioni per estremi: non esistono razionalizzazioni né vie di mezzo, e le conseguenze sono incontrollabili.
Pollice in su per tutti i commenti precedenti!

Con la sua opera seconda, la meno appariscente dal punto di vista visivo, W.Anderson affronta il tema a lui più caro, che tornerà nel suo capolavoro Moonrise Kingdom: ogni personaggio maturo nasconde ancora un lato troppo infantile, e viceversa.
Strano mix di malinconia e divertimento, è un racconto di formazione originale e genuino, con un sorprendente J.Schwartzman, all’esordio, e un Bill Murray rivitalizzato dalla collaborazione con il regista texano. Musiche splendide. Purtroppo da noi si è visto solo in pay-tv.

Irriverente farsa degli equivoci con elementi della commedia sofisticata hollywoodiana, non ha un attimo di pausa, sostenuta dall’indimenticabile dinamicità di Pepa (Carmen Maura) e da un esilarante campionario di coprotagonisti. Tutti impareranno a vivere senza uomini. Ad oggi, è il più grande successo di pubblico di Almodovar, nonché il suo film più divertente e accessibile a tutti, che lo ha consacrato a maestro di cinema anche al di la dei confini spagnoli.

Mi associo all’analisi double face dell’ultima fatica di Luhrmann.
La prima parte, superficiale e sfarzosa, è puro fumo negli occhi. Molto più affascinante la seconda, dove rimane lo sfarzo ma finalmente emerge la profondità della vicenda, grazie a ottimi interpreti e dialoghi incalzanti, con grande beneficio in termini di coinvolgimento e tensione. Purtroppo la netta contrapposizione d’atmosfere non rende possibile una totale partecipazione al dramma, soprattutto per chi conosceva la grandezza del romanzo, la cui splendida storia è stata sprecata per costruire uno show banalmente affascinante, che meritava tutt’altro spessore. Detto questo, le quasi due ore e mezza scorrano velocemente e la prova di Di Caprio merita attenzione. Alla luce dei suoi meriti, non si può fare a meno di considerarlo un grande rimpianto.

L’esordio della Golino è impegnato, originale, preciso, leggero ed essenziale. Nessuna parola di troppo, nessuna digressione, un film asciutto, che va dritto al punto, ponendo tante domande senza però rispondervi (cito direttamente la regista). Inoltre, regala al panorama cinematografico italiano una protagonista forte, controversa e interessante, un personaggio che non si dimentica. Due critiche: la gestione del ritmo nella seconda parte, troppo schematica e prevedibile, con un finale telefonato, e l’uso delle (belle) musiche, limitate a quello che ascolta ‘realmente’ Irene.

La qualità in giro per il mondo c’è, e ci sarà sempre. Il problema è che rischia di non essere finanziata, pubblicizzata, e, di conseguenza, vista. Per questo credo che una produzione indipendente come ‘Sister’, che non sfonda al botteghino e passa facilmente inosservato agli occhi del grande pubblico, vada assolutamente protetta. Manca la forza drammatica di ‘Un gelido inverno’, ottimo esempio di crudo dramma provinciale, ma Ursula Maier esprime una certa ricerca di stile (narrativo e registico) che da quel qualcosa in più, anche se non ancora del tutto espresso.

Come i commenti precedenti hanno ampiamente chiarito, è una commedia molto ben fatta, con attori perfetti (del resto il film è costruito tutto su di loro), come i rispettivi doppiatori, e una sceneggiatura spiritosa ed intelligente, che riflette amaramente sull’ipocrisia e incapacità di accettare i difetti propri e altrui. Se non si cercano stravaganti esperimenti di cinema, si rimane soddisfatti.
Per quanto riguarda il paragone col ‘gemello’ Carnage, trovo quest’ultimo ugualmente coinvolgente, ma più crudele e spietato, più freddo e quindi meno fruibile, forse meno riuscito.

Tragicommedia antiborghese che gode di un eccellente messa in scena: regia e fotografia da oscar, attori in gran forma (solo Annette Bening mi è parsa a tratti sopra le righe) e belle musiche (soprattutto i themes di Newman). Memorabile il finale, che offre un lumicino di speranza dopo aver chiarito crudelmente che nessuno dei personaggi è realmente positivo: Lester è solo un allupato che tenta di ribellarsi al sistema, la coppia di giovani è sinceramente innamorata, ma non curante dei sentimenti altrui. Sceneggiatura esemplare, appassionante e piena di significato. Questa è l’Hollywood che preferisco.