Conferire ad un film oltre ad un valore estetico anche un valore educativo non rappresenta una necessità. Anzi, paradossalmente, la funzione pedagogica molto spesso inquina e deteriora l’opera artistica in tutte le fasi di realizzazione, dal concepimento alla sua fruizione. Nell’ultima opera dei Taviani, non c’è questo rischio in quanto è l’estetica stessa che contiene in sé una valenza sociale ed educativa. E’ un film straordinario, potente, generoso e magistralmente diretto, con scelte stilistiche e rappresentative degne del grande cinema d’autore. Sono uscito dalla sala con gli occhi umidi, riappacificato con la settima arte: non tutto è andato perduto. Consigliata la visione a tutte le scuole, per riscoprire i grandi classici e svelare alle menti l’Ecce Homo, estirpare la gretta identificazione della colpa con il suo colpevole. Grazie Taviani, grazie veramente.

Per varie ragioni ho atteso molte settimane prima di decidermi a vedere l'ultimo film di Scorsese. Ammetto che le ultime sue fatiche non mi avevano entusiasmato; le considerazioni di amici che lo avevano visto non mi avevano convinto; il 3D non mi fa impazzire; la curiosità per altre pellicole uscite in questo periodo. Ma alla fine mi sono detto: Scorsese è Scorsese; come faccio a perdermi la visione sul grande schermo? E così oggi mi sono convinto...purtroppo. Soprattutto dopo film blasonati, colossal o che hanno ricevuto la benedizione della critica, se l'impressione è negativa mi pongo la domanda: lo rivedrei domani, tra un anno o tra 20 anni? No. Scorsese è un maestro, ma non tutto esce capolavoro: le croste capitano a tutti. Senza nessun timore reverenziale, il film non è riuscito; la ciambella non ha il buco. Meglio la seconda ora del film.

Come spesso accade, la trasposizione (non la libera ispirazione, attenzione) cinematografica di un buon testo appare come una scelta per fare film "con il paracadute" (difficile rovinare completamente una buona storia). Ma la responsabilità è del regista o egli deve fare di necessità virtù per mancanza di solide sceneggiature? Forse entrambe le cose. Sicuramente lavorare su meno film, potrebbe essere un buon inizio: sono sicuro che Roberto Faenza potrebbe fare di meglio se sedimentasse più a lungo la sua idea di cinema.

Rilasciare un commento su un film senza tanti pregi e senza troppi difetti è sicuramente un'analisi delicata, come in questo caso. Il racconto è sempre in bilico tra un'anelata leggerezza e la ricerca di una profondità (chissà perché poi); senza sceglierne una (io tifavo per la prima). Probabilmente perché si è cercato di riprodurre in modo troppo fedele il registro letterario dell'opera di Cameron (a volte sembrava che le battute fossero riprese pedissequamente dalle pagine), ma il risultato mi è apparso artificioso, posticcio e purtroppo slegato (difficilissimo condensare un libro, conferendone corpo e compattezza). Tuttavia, è sempre grazie al libro che la pellicola mantiene una sua piacevolezza. (continua)

Capita raramente di "tifare" per un film. E' quello che mi è accaduto durante la proiezione. Per tutto il tempo ho sperato che ci fosse qualcosa che non è mai arrivato; e qui non stiamo neanche aspettando Godot. La narrazione procede per flashback e, purtroppo, in questo caso la tecnica è utilizzata soprattutto per colmare lacune nella sceneggiatura. Concordo a quanto scritto nella scheda critica: tutto purtroppo è soffocato da continue ripetizioni tanto che la cognizione e l'estetica non presentano uno sviluppo; la potenza della fine è equivalente alla problematicità dell'inizio.

Avevo apprezzato la prima pellicola di Payne (Sideways) per la sua leggerezza e una costruzione della storia convincente. In questo caso il regista affronta temi più alti, ma se ho gradito il tema della difficoltà comunicativa tra giovani e adulti, l'eccessiva e maniacale affabulazione dei sentimenti ed il troppo detto ne svilisce la potenza. La piccola Scottie rimane l'unico personaggio che ridesta dalla noia.

Grande prova d'attore (visto anche nella v.o.), ma la trasposizione cinematografica del soggetto è debole (forse anche volutamente) di modo che la percezione è che ci si trovi a teatro. Decontestualizzato, peccato.