attori eccellenti, validamente supportati da ottimi e innumerevoli effetti, si danno un gran daffare a entrare e uscire da quinte, serbatoi e temi potenzialmente più che interessanti, ma quello che ne viene fuori somiglia più che altro a un gran bailamme. il voler stupire a tutti costi e in ogni istante non sempre gioca a favore della godibilità di un film, e spesso ne limita la profondità. dice il saggio: tloppa calne al fuoco fa un bel fumo ma non cuoce bene.

gli attori sono tutti bravissimi, c'è una bella ambientazione, e il tema - che cos'è a definire un essere umano? che cosa è o dovrebbe essere un androide? che cosa dovremmo farcene di quello stramaledettissimo libero arbitrio? e quando nasce, e dove arriva, l'immaginazione? - è di sicuro interesse. purtroppo, però, viene trattato, sia dal punto di vista tecnico che da quello della sceneggiatura, con una certa frettolosità o superficialità, che risulta un po' inspiegabile dopo tanta e pregiata "letteratura" sull'argomento. molte cose potenzialmente interessanti (il "florilegio" degli "ingredienti", il livello emo), sono buttate lì così, appena accennate, ed è invece il plot sentimentale (che pure non è scollegato dal resto, se no sarebbe stato imperdonabile) a prevalere in generale un po' troppo su quello (fanta?)scientifico-filosofico. ecco, come film non è male ma forse mi è sembrato - da diversi punti di vista - come poco cresciuto, poco adulto.

carino, forse anche molto carino se valutato a sé stante, ma il fatto è che prima di allora non mi ero mai trovata a definire un film di Woody Allen "carino". anche il coro greco mi sembrò più un espediente, qualcosa di costruito e non del tutto sincero, che non un prodotto della dirompente e sbrigliata genialità di uno dei registi che fino a quel momento avevo amato di più. per carino che sia, rimane la mia prima delusione alleniana.

un'unica, lunga marcia, attraverso un mondo che non c'è più. tanto estenuante quanto avvincente, pecca di un certo sentimentalismo e di qualche ingenuità, che però gli si perdonano volentieri e che forse erano inevitabili. Viggo Mortensen recita, bene, per 112 minuti di fila.
P.S. non ho letto il libro

una piccola grande storia, di rara misura e delicatezza e di altrettanto rara - unica, in Italia - perfezione. con i piedi a mollo nella laguna, della quale sembra di sentire l'odore, si assiste alle vicende - ora ilari, ora drammatiche, in una parola umane - di una donna cinese che con forza e dignità affronta la sua condizione di schiava in attesa di liberazione, e della piccola combriccola di pescatori un po' buontemponi e un po' tristi, come sono sempre i pescatori, che prima la deride un po' ma quasi subito la "adotta". i paesi sono diversi ma le sensibilità e le emozioni sono le stesse, le umanità si mischiano e quello che ne vien fuori è, benché la fine non sia poi così lieta, una smisurata speranza. non c'è un filo di retorica o di autocompiacimento, ma anche e soprattutto per questo credo che possa rappresentare un'importante lezione per i registi e gli attori nostrani, cui basterebbe forse, per fare un buon lavoro, ispirarsi alla poesiola del fantastico Bepi.

nel frattempo sugli alieni ne abbiamo viste di cotte e di crude e siamo diventati smaliziati e cinici, ma credo che questo film possa ancora emozionare chi abbia mantenuto, per indole o per età, una certa ingenuità. è uno Spielberg ancora sincero e ancora lontano da "E.T." quello che - lui per primo, e si sente - rimane semplicemente a bocca aperta di fronte alla magia e alla meraviglia del primo contatto con esseri provenienti da un altro pianeta. la sequenza di toni è rimasta indelebile nella mia memoria.