Mendes in effetti si intravede, ma il film rimane lo stesso moscio nei dialoghi e scopiazzatello anziché no (fa capolino persino Hannibal Lecter). almeno fino all'arrivo del magnifico Bardem che, con la sua sola performance, lo rende degno di essere visto. però anche lui sembra come sbucare da un altro film, da un film di tutt'altro genere - già non è facile identificare Craig con 007, ma qui si corre proprio il rischio di dimenticarselo che è un film di 007. e poi, io mi domando e dico: è mai possibile che a "salvare" Bond, James Bond, debba essere il suo avversario? gli 007 veri (e belli, accidenti!) erano quelli del tempo che fu, quelli con Sean Connery o con Roger Moore e, se è vero che quelli intermedi li ho saltati a piè pari, è anche vero che questi ultimi mi sembrano più che altro l'ultimo guizzo di un moribondo. io con questa saga la finirei molto dignitosamente qui, Craig e Mendes sono bravissimi e ci sono un mucchio di altre regie e di altri ruoli che non aspettano che loro.

film importante e in un certo senso necessario, che tutti dovrebbero vedere. forse ridotto un po' troppo all'osso, o un po' troppo lineare, e da questo punto di vista meno Haneke di altri, ma certe volte quando si vuole dire qualcosa è bene dirlo forte e chiaro, senza perdersi in ciance. per Trintignant e Riva non trovo le parole, dico solo che fanno scomparire completamente la Huppert.

film bello, vero e coraggioso che, analogamente a "Sulle mie labbra", racconta di un legame insospettabile che si crea e si rafforza, ancor più insospettabilmente, a partire da eventi e situazioni che da copione classico sarebbero ben lontane dal creare alcunché e assai più vicine al distruggere. incontrandosi, incontrandosi davvero, è possibile vincere gravi handicap, fisici o emotivi che siano, questo ci dice Audiard, ed è possibile sorriderne, anche. la storia, del tutto priva di didascalismi e per niente priva di brio, rappresentata realisticamente e "semplicemente" (la cosa più difficile del mondo?) per quella che è, senza nasconderne né la crudezza né l'ironia, coinvolge ed emoziona, e sprigiona una grande forza. superlativa l'interpretazione della Cotillard, indimenticabile gesticolatrice e incredula, trionfante bookmaker.

un film che riesce come pochi altri a insinuarsi e a rimanere a lungo, con dolente ma asciutta consapevolezza, all'interno di quel confine sottile e incerto che separa l'inferno dalle buone intenzioni. o forse all'interno di un luogo isolato dal resto del mondo in cui un delirio collettivo può tranquillamente sostituirsi alla realtà. o anche nel cuore del cuore dell'uomo, là dove impera un bisogno, una fame d'amore, non importa quale, un amore che salva e che annienta. ogni singola inquadratura riempie gli occhi e l'anima, spunti di riflessione inattesi si celano qua e là in piccoli e grandi dettagli, e la Stratan è a dir poco da Oscar. l'inizio va un po' per le lunghe, ma io che ero anche stanca e prevedevo sonnolenza sono uscita più sveglia che pria.

comincia con una serie di scene francamente imbarazzanti, che sembrano girate dal più incompetente dei nostri sedicenti registi e basate sui più triti stereotipi di cui la letteratura psico-adolescenziale disponga, ma poi l'arrivo di lei distrae la telecamera dai brufoli di lui e nella solita cantina sembra entrare un po' d'aria. pia illusione: lo "spazio" è e resta occupato per intero da storie e parole vecchie (quando non improbabili), che risultano persino un po' patetiche nella loro evidente pretesa di sembrare nuove, e che suonano anche piuttosto fasulle. alla fine qualche verità arriva (insieme a un certo coinvolgimento, estorto allo spettatore a suon di capelli biondi "dipinti" su divani rossi e di ragazzi soli/ragazze sole), ma ciò serve solo a far venire il sospetto che questo film, fatto in un altro modo, un senso avrebbe potuto averlo. fatto com'è fatto, è inutile e bruttino, e a confronto The Dreamers era un capolavoro assoluto.

non basta insistere coi telegiornali di sottofondo (anzi, alla lunga si diventa noiosi) per dare profondità o spessore a un film che non funziona troppo bene già in superficie. nessuno sembra essersi impegnato più di tanto nella sua realizzazione, e persino le scene clou (nel registro dell'azione come in quello dei discorsi, seri o strampalati che siano) sono poco convinte e poco convincenti. se almeno Brad Pitt facesse il suo dovere di protagonista, e invece più che un attore sembra un caratterista, e uno neanche troppo consumato - una maschera, dietro la quale ha tutta l'aria di star pensando ai fatti suoi. bravi gli altri attori, azzeccati i commentini musicali, e mi è piaciuto molto Mickey/Gandolfini, ma tutto mi è sembrato rimanere sotto tono e la sensazione complessiva è stata quella di aver visto il solito filmetto.

un po' Animal Kingdom (siamo bestie, cani tenuti a catena - non importa quanti legami di sangue abbiamo, o quanto profumo ci spruzziamo addosso, non possiamo che morderci e ringhiarci), un po' Drive (parentesi spoiler: l'unico a tentare di ripristinare un qualche ordine, a credere ancora, in un certo senso, a qualcosa, è proprio lui, il killer - forse è per questo, che il cane lo guarda e tace...), e un po' vari altri film, non si può dire che brilli per originalità tematica. e però la regia c'è tutta, il "redivivo" Matthew McConaughey e la fantastica Gina Gershon si buttano anima e corpo in una recitazione con la erre maiuscola e, last but not least, la sceneggiatura - decisamente più dura che divertente, ma tutta percorsa da una vena di humor che le dà stile e consistenza - è soggetta a memorabili impennate. imperdibile forse no, ma senza ombra di dubbio consigliabile.

favoletta godibile e sempre utile alla riflessione collettiva, ma tutt'altro che imperdibile. fin troppo folkloristica, le mancano i toni cupi e la complessità degli ultimi Garrone, e se non parte male e a un certo punto sembra prometter bene perde invece potenza proprio quando dovrebbe prenderne.

una regia/sceneggiatura/fotografia davvero speciale, ed ecco che una storia drammatica potenzialmente non più originale di tante altre diventa - puntellata com'è di momenti di genio (quello degli uccellini, che sono due ma è la stessa persona... per arrivare a casa del quale si passa in un vicolo stretto stretto...) e di rare e preziose incursioni nel surreale e nel poetico - qualcosa da vedere e da ricordare. bravi tutti gli attori, non solo Servillo. certo, è un bel po' di maniera (le "foto" al mare sono quasi insopportabili), ma ce ne fossero.

forse un pelino troppo cattivo - e Kim Ki-duk non è certo uno che abbia bisogno di esagerare, per colpire chi guarda - ma comunque assolutamente strepitoso e imperdibile, come l'intera filmografia di questo regista, che è capace non solo di guardare dritto negli occhi l'animo umano, con tutti i suoi abissi e i suoi orrori, ma anche di restituirci quello che vede tratteggiando linee di un tale nitore e di una tale semplicità apparente da farci quasi dimenticare che siamo con ogni probabilità a cospetto del Genio.
P.S. per favore, stiamo (tutti, anch'io) un po' più attenti agli spoiler? grazie :)

non solo è fatto bene ma, a ben guardare, questo thriller apparentemente così classico porta in ogni sequenza la sottile eppure palpabile firma del regista di Memento. c'è quel dubbio continuo, dolente, estenuante, c'è il conflitto di una coscienza che si contorce - buono o cattivo? (e, a proposito, c'è persino un Robin Williams, cattivo - spiazzante, no?) - e c'è ancora a perseguitarla quella luce, quella luce strana, in questo caso la luce dell'Alaska, onnipresente e spietata e insieme capace di rendere tutto come sommerso, sospeso - senza scampo. certo è un Nolan un po' troppo cresciuto, o cresciuto troppo velocemente, rispetto al ragazzaccio dal montaggio selvaggio, troppo improvvisamente addomesticato e disteso nella tecnica, ma la sostanza c'è ancora, e la strada per crescere, si sa, non è lineare. quel che è successo dopo, invece, è un'altra storia.

un film noioso, che vorrebbe toccare con delicatezza ma che non arriva neanche a sfiorare, forse per maldestrezza o forse per mancanza di coraggio. non si piange, non si ride, non si riesce neanche a riflettere, perché si ha troppa voglia di tornare a casa. se si salva, e si salva appena, è solo per l'importanza e l'interesse del tema che avrebbe voluto affrontare, ovvero per quel che sarebbe potuto essere e non è.

anche Majewski, come molti di noi, deve aver detto o pensato chissà quante volte: "che meraviglia questo quadro, come mi piacerebbe entrarci dentro". la differenza è che lui alla fine ci è riuscito, e ci è riuscito così bene da poter fare questo grande e inatteso regalo a tutti noi. non perdetevelo assolutamente.

uno di quei film che vai a vedere fregandoti le mani dall'anticipazione e che invece il giorno dopo hai già dimenticato. è abbastanza ben fatto, per carità, ma direi che alla fine risulta un po' inconsistente. consiglio di vederlo dopo aver fatto piazza pulita delle aspettative indotte dal tema e dal titolo.