ottime interpretazioni, ritmo serrato e un bel montaggio, di cui per una volta non fa le spese una sceneggiatura che sa rimanere equilibrata. e, scusate se è poco di questi tempi, nessuna stonatura. non è un capolavoro, certo, così come non credo intenda essere un reportage, ma si sta tutto il tempo con l'ansia a tremila e all'uscita non si vede l'ora di correre a casa per indagare meglio, magari su wiki, sulla storia dell'uomo dai capelli bianchi e su quella dei suoi leaks, sul loro passato, sul loro presente e... sul loro futuro?

film veramente troppo lungo, e immotivatamente, e con una delle scene più importanti venuta fuori tanto lunga ma soprattutto tanto male che anziché esprimere fusionalità finisce per rasentare il grottesco. e però bello nonostante questo, bello e coraggioso. perché porta sullo schermo la quasi invisibile omosessualità femminile (con tanto di particolari anatomici che sono rimasti - chissà perché... - l'ultimo tabù), perché le emozioni e i rapporti che racconta sono vivaddio profondamente veri, perché ha il coraggio anche di dire che i cosiddetti circoli alternativi involvono spesso in quanto di più chiuso e reazionario ci sia - l'unica alternativa vera è Adèle, è lei l'unica libera, e l'unica cosa veramente rivoluzionaria è l'amore. la greca se la sarebbe cavata anche soffiandosi il naso, ogni tanto, ma con o senza fazzoletti non sfigura accanto alla sempre più incredibile e affascinante Seydoux, senza la quale la vita di Adèle non sarebbe stata né la stessa vita né lo stesso film.

film assolutamente ridicolo, improbabile e idiota. e non nella realizzazione, o meglio non tanto nella realizzazione, è proprio la sceneggiatura ad essere peggio che inutile. neanche i bei primi piani delle due protagoniste e il rumore dei piedi nudi sulle assi di legno di un posto da sogno trattengono i piedi dello spettatore dal fremere per alzarsi e andarsene. classificabile per quanto mi riguarda tra i fenomeni inspiegabili.

molto belle l'ambientazione - originale, più fuori che dentro la navicella, the outer of the outer space - la fotografia etc. etc., e anche tutto il resto è ben calibrato, comprese la gigioneria di Clooney, che proprio perché contenuta mi è sembrata perfetta, e la non eccessiva insistenza sulla solita patetica storia dei bambini e delle loro scarpette (che in presenza della pur brava Bullock non poteva forse mancare ma che comunque un po' il film me lo ha rovinato). attenzione però: nonostante la canottiera, Ryan non è Ripley, il paragone fin troppo ovvio e già abusato con 2001 è a dir poco fuori luogo, e Gravity abbaia bene - molto bene nell'unica scena che mi abbia veramente colpito, insieme forse alle inquadrature finali di sotto in su - ma non morde.

una roba strana, una sorta di porno-thriller gay-nichilista, che a dispetto delle difficoltà definitorie è in realtà molto semplice e che trae la sua forza e la sua incisività anche e soprattutto da questa semplicità. un unico nitidissimo scatto che abilmente, e in quello che sembra un attimo, spoglia i corpi e i cuori degli uomini dei loro segreti, affidandoli alle acque scure di un lago e alle fronde dei suoi alberi che mormorano, mormorano, mormorano... originale, interessante, desolante.

e brava Emma Dante, sa fare anche il cinema, anche se fa partire il suo film stretto stretto e poi lo allarga e lo modifica pian piano fino a dichiararlo apertamente, che alle quinte teatrali e alle luci di scena non sa rinunciare. non solo uno dei pochi film italiani buoni degli ultimi tempi, ma anche una delle poche sperimentazioni di sostanza, di quelle cioè che al posto dell'autocompiacimento e dell'autoreferenzialità hanno un loro perché e un loro risultato. un risultato non ancora del tutto compiuto, ma sufficientemente affascinante e sicuramente promettente. un'altra storia del tutto, rispetto al Sacro GRAnchio preso dal suo collega.

ecco, questo invece è un bel film. bello a tutto tondo: ben sceneggiato, ben recitato, ben girato, intelligente e dotato di senso, capace di coinvolgere dall'inizio alla fine e di lasciare più di qualcosa. direi quasi un classico, se non fosse per una certa sensibilità che non appartiene certo ad altri tempi. senza sperimentalismi forzati e senza troppi grilli per la testa, semplicemente un film onesto e solido e ben piantato sulle gambe. p.s. benché Beethoven faccia indubbiamente la sua parte, non arriverei a definirlo un film musicale.

mah. sarà un po' colpa anche qui della poca famliarità che abbiamo (almeno io) con il once upon a time in China, sarà un po' colpa come al solito delle stramaledette aspettative - forse in realtà uno che ha fatto una cosa come In the mood for love farebbe bene a cambiar mestiere sibito dopo - ma soprattutto e certamente è colpa del fatto che alcuni film, non c'è niente da fare, vengono fuori male, senza molto senso e senza nessun cuore, in barba a tutto e tutti. oddio, certi "quadri viventi" sono di una bellezza senza pari, l'attenzione a certi dettagli rende persino i combattimenti di kung-fu più ricercati e più belli del solito, e Zhang Ziyi in alcune scene toglie veramente il fiato, ma se eravate in attesa del ritorno di Wong Kar-Wai, o per dirla tutta anche se avete semplicemente voglia di vedere un bel film, vi consiglio di sceglierne qualcun altro. persino Tony Leung se ne sta per tutto il tempo con addosso una faccia un po' perplessa.

manca in effetti un po' di cuore, di profondità, non coinvolge come avrebbe potuto, questa trasposizione in immagini del meraviglioso universo verbale di Vian. forse per troppa o meglio troppo esclusiva attenzione all'elemento visivo, forse per via di un protagonista poco adatto, forse perché l'impresa era impossibile di per sé. ma evviva l'elemento visivo, se è in mano a uno come Gondry, e cioè a uno dei pochi che poteva se non riuscirci perfettamente almeno provarci con risultati comunque fantastici, di nome e di fatto. menzione speciale per il campanello che salva il topo e per Omar Sy che salva il cast.

Sofia Coppola continua a proporci spaesamenti, a ritrarre persone sperdute e "fuori luogo", e questa - vuoi per il contenuto attualissimo e per la sua verosimiglianza (è quasi un documentario), vuoi per il ritmo serrato, per come il materiale si presta allo stile della regista, per l'ottimo cast - mi è parsa la più terrificante e in qualche modo la più (s)co(i)nvolgente delle sue fotografie. certo, ancora una volta la visione lascia vagamente interdetti, dubitosi, tentati di dire "no", ma il fatto è - credo - che lo spaesamento la Coppola oltre a rappresentarlo lo "pratica" in prima persona, e che i suoi non-film vorrebbero in un certo senso essere proiettati in una non-sala cinematografica. sia dove sia, io questa cosa - un "lost in fame&fashion", le cui ultime, agghiaccianti parole sono, ahinoi, tutt'altro che sussurrate - vi consiglio di vederla.

per fare il cinema d'autore non basta tenere la telecamera fissa per dei quarti d'ora e usare una fotografia buia. anzi, se manca la sostanza - ed era difficile farla mancare, avendo scelto come protagonista il mitico raccordo, cui davvero non mancano ben altre storie da raccontare - tali stratagemmi esitano necessariamente in una noia non necessariamente sopportabile. non lo consiglio neanche a chi crede, come credevo io, di non poter mancare a questo particolare appuntamento con l'amato e odiato compagno di tante giornate, con il sole o con la pioggia, con l'ingorgo o senza l'ingorgo, con tir o senza tir. Leone d'Oro alle buone intenzioni?

un gran piacere come al solito vedere la Huppert, che recita con la pelle, con le mani, con la schiena e con i polpacci persino, e la spiaggia grigia chiusa in una conca di montagne grige fa da perfetta cornice agli sprazzi di colore delle piccole storie e dei piccoli gesti surreali che si ripetono e si incrociano come variazioni sul tema alla Queneau. purtroppo il tema stesso, quello dei rapporti tra uomini e donne e in particolare di un certo stereotipo di uomo coreano, a noi occidentali non arriva benissimo, e si percepisce chiaramente che qualcosa è "lost in translation". bellissimo il regalo del monaco.

purtroppo ci mette molto a ingranare, ma poi si fa sempre più delizioso, e alla fine è da morire. bislacco e pazzoide, saggio e poetico, con un trio di protagonisti tanto improbabile quanto perfetto, non è quella brutta copia di un Coen/Tarantino che potrebbe sembrare a tutta prima, ma decisamente il secondo film di Martin McDonagh. consigliato.

esto. e noi? noi l'abbiamo capito?

la parte centrale sembra non finire mai - il botta e risposta tra le due campagne antagoniste è un affastellamento sciatto e confuso di immagini, spot e trovate nemmeno brillanti (tranne forse quel paio già visto nel trailer) - e c'è pure un bambino che fosse stato un bambolotto sarebbe stato uguale (e non per colpa sua), ma nell'insieme il film non manca di interessare e coinvolgere. il senso e il consenso di Pinochet ci parlano, che lo si voglia o no, del senso e del consenso del fenomeno B, di casa nostra, e il protagonista del film, che pur dotato di coscienza ha scelto di essere non uno che lotta per la "sinistra" bensì un pubblicitario in ascesa in un mondo "di destra" - ed è questo suo punto di vista, e l'intersecarsi della campagna per il No con la sua vita e il suo lavoro, la chiave del film - capisce sempre più chiaramente non solo come va il mondo ma anche come sia facile "farlo andare". il dittatore cileno l'ha capito forse tardi, il nostro B l'ha capito pr

l'ho trovato un po', come dire, avaro? nel senso che proprio quello che promette - dinamiche psicologiche e relativo coinvolgimento - mi è sembrato darlo col contagocce, o forse darlo male. il tema è indubbiamente interessante, ed è particolarmente azzeccato il casting, ma - anche a prescindere dalla delusione delle mie aspettative forse eccessive - non mi è sembrato riuscitissimo e non lo consiglio particolarmente.

p.s. non leggo quasi mai i commenti degli altri prima di scrivere il mio, e non l'ho fatto neanche in questo caso... è incredibile come a volte vengano fuori le stesse identiche parole!