L'ultimo capitolo della "trilogia della morte" cominciata con Amores Perros e proseguita con 21 grammi e' il migliore, piu' complesso e accurato: destini apparentemente scoordinati tra loro e ambientati in luoghi diversi (dal Marocco a Tokyo) andranno a collidere in una spirale di eventi trascinante e mai banale, e anche se nei momenti meno appassionanti l'attenzione sembra scemare, viene risvegliata dalla scena successiva. Il punto forte sta nella solida regia istintiva di Inarritu, tutta camera a mano, mischiata alla sceneggiatura di Arriaga, talmente realistica da fare effetto (la scena in cui la Blanchett viene colpita, la corsa in macchina dalla dogana americana), unite a performance notevoli, con un sorprendente quanto sentito Pitt.

Dopo vent'anni di pausa, torna Indiana Jones. Alcune cose sono cambiate: i cattivi non sono piu' i nazisti ma i russi (capeggiati da una Blanchett che parla come zia Svetlana), alcuni personaggi cardine del passato non ci sono più e, soprattutto, il nostro eroe deve fare i conti con la vecchiaia. Ma a dispetto di quel che ci si aspetta, Ford e' in gran forma. E' la sceneggiatura che non riesce a replicare le trovate e le invenzioni dei precedenti, ricorrendo spesso ad autocitazioni, tirando in ballo vecchi personaggi e situazioni senza pero' mancare ad alcune cadute. Spielberg non ritrova il ritmo e la sfrenata giocosita' dei primi tre episodi ma dirige alcune sequenze mirabolanti e, comunque, questo Indiana e' molto piu' riuscito e divertente della maggior parte dei pop-corn movies che si vedono in giro. Anche se, purtroppo, e' arrivata ora per Indy di appendere il Borsalino al chiodo. E lo dico da grande ammiratore dei suoi film.

Si tratta probabilmente del thriller piu' celebre del regista, diventato un cult nel tempo e ammirato da molti cineasti tra cui Tarantino. La prima parte e' davvero incalzante, su questo fonico che per sbaglio registra un'incidente d'auto che scatena un'intricata indagine, ma col passare dei minuti perde di originalita' e diventa prevedibile, pur mantenendo un certo livello di suspense. DePalma continua ad essere il piu' virtuosistico degli autori, con complessi movimenti di macchina (la ripresa finale di 360 gradi sotto i fuochi d'artificio, le impressionanti panoramiche che si riducono a dettagli) che rimandano ai migliori gialli hitchcockiani, infischiandosene della veridicità' della trama e realizza una perla del genere che affascina come un falso capolavoro.

Bisogna ammettere che Gibson ha avuto coraggio nel buttarsi in una vera impresa per un regista: realizzare un film sugli aborigeni ai tempi dei Maya, con attori non professionisti che parlano una lingua morta e girato interamente in esterni. Purtroppo pero' utilizza i trucchi più vecchi e facili per intrattenere lo spettatore, con un uso spropositato e fastidioso di crani fracassati, organi esportati e busti trafitti, manco fosse uno splatter, trasformando poi l'eroe protagonista da indigeno allo Schwarzenegger di Predator. Il culmine del triviale e' la scena dei sacrifici, sconsigliata mentre si gusta un bel caciucco o una peperonata.

Condivido pienamente con Anathema. Nonostante American Hustle rimanga un grandissimo film, destinato probabilmente ad essere un "classico", sotto certi aspetti mi ha lasciato con qualcosa di meno rispetto a The Fighter e Il Lato positivo. Russell si conferma come l'autore più interessante del momento, sicuramente il migliore a dirigere gli attori e lo conferma con la sua ultima, ambiziosa opera. Ma secondo me la sceneggiatura (per quanto precisa e ottima) a volte non riesce a stare al passo con la regia, incerta se trattare di un film di truffe o su un dramma, dilungandosi forse troppo in certi passaggi. Ovviamente il film va assolutamente visto grazie alla sempre più "scorsesiana" regia di Russell (che in certe scene ricorda la potenza di Quei bravi ragazzi e Casino') e a un cast magnifico, dove rimarranno indimenticabili l'impressionante prova di Bale e la gigioneria della Lawrence, nonché le scollature della Adams.

L'esordio di Inarritu segna il suo stile, immediato e tragico, nel raccontare con un'estrema abilita' nell'uso della camera a mano un mucchio di vite che si scontrano fra loro (cosa che sara' il deus ex machina dei successivi 21 grammi e Babel): la prima parte sembra un film di denuncia sulla violenza e il degrado che esplodono nei bassifondi della metropoli, il secondo pezzo e' a tutti gli effetti un horror grottesco mentre l'ultimo episodio si concentra sul solo personaggio di El Chico, enigmatico sicario tormentato dal passato, con venature da thriller psicologico. E' il primo della cosiddetta "trilogia della morte" e a mio parere il meno incisivo, forse perche' la sceneggiatura di Arriaga e l'arrangiamento della storia sembrano incerti e meno maturi rispetto ai successivi (meno coinvolgenti la parte centrale e finale ma non per questo meno interessanti), anche si rimane attaccati allo schermo per la forza visiva trasmessa dal film.

Come nel precedente Lo Hobbit Jackson spreme ogni possibile vicenda del romanzo di Tolkien per tirarne fuori una nuova trilogia. Ma se nell'opera precedente il senso dell'avventura non mancava, in questo nuovo capitolo si ha la sensazione di assistere a un dispendiosissimo raccordo tra il primo e l'ultimo: troppi personaggi (molti inventati dalla sceneggiatura ma non memorabili) e troppe digressioni. Insomma sembra che si sia fatto tutto pur di allungare il piu' possibile il film aggiungendo anche il non necessario, infatti durante la prima ora qualche sbadiglio scappa. Si rifa' nei 40 minuti finali, che regalano il più' bel drago mai apparso sullo schermo: lo scontro tra Smaug e Bilbo e' davvero un gran momento di cinema fantastico e vale da solo il prezzo del biglietto, merito dell'ottima realizzazione del drago e del doppiaggio di Luca Ward.

Selick trasduce in immagini il libro di Neil Gaiman. Utilizzando una stupefacente tecnica di stop-motion che tocca livelli di perfezione mai raggiunti (movimenti piu' fluidi,un numero maggiore di espressioni facciali), Coraline e' un cartoon atipico e bellissimo, in quanto affronta i soliti temi dei film animati (il rapporto tra i figli e i genitori,la solitudine e la noia che si trasformano in avventura,l'essere "speciali") in maniera poco infantile o banale, ambientando il film di personaggi,scenografie ed eventi decisamente lugubri e paurosi: gli "altri genitori" di Coraline con i bottoni negli occhi, la casa che ricorda quella di Psyco, l'ambientazione notturna, gli scarafaggi, la foresta e la nebbia perenne.

Il regista sceglie un'inedita location in cui ambientare una commedia dai risvolti macabri, zeppa di humor britannico, black comedy americana e ironia irlandese. La sceneggiatura e' cosi' originale e particolare che obbliga lo spettatore a seguire fino all'ultimo le vicende dei due protagonisti tra conversazioni assurde (su tutte il discorso sull'apocalisse del nano attore) e scoppi di violenza (il flashback del protagonista). Un mix ben confezionato tra dialoghi brillanti stile Coen ed interpretazioni riuscite, dallo splendido duo di Farrell e Gleeson fino al glaciale Fiennes. Insomma un insolito giro turistico in una noiosa citta' medievale.

Senza alcun bisogno (se non quello economico), la Columbia produce un'altro film di Spiderman a nemmeno dieci anni da quello di Raimi. Questa nuova versione propone al vasto pubblico di massa un'altro blockbuster infarcito di tanti effetti digitali, azione e un cattivo che sembra uscito dal culo di Godzilla. Ma invece di cercare una nuova strada, di cambiare la gia' nota storia della genesi di Spider-man, questa pellicola propina la stessa identica trama e le stesse identiche situazioni del film (decisamente più riuscito) di Raimi. E il nuovo Peter Parker, invece di essere quel simpatico sfigato diventa, nella sua sfrontata invulnerabilità, quasi antipatico.

A quanto pare vado decisamente controcorrente rispetto alla media dei voti dati a questo film. Ma l'ultimo King Kong non e' come i soliti remake del classico del 1933: pur rispettandone la trama, la caratterizzazione dei personaggi e le atmosfere, trovo questo King Kong uno dei film piu' personali del regista, che dirige questo kolossal con la stessa dose di fantasia e di incanto di qualunque adolescente che sia rimasto abbagliato dalla visione dell'opera di Cooper e Schoedstack. Jackson riesce a mescolare in maniera assolutamente magnifica l'avventura del film originale e la sua "poetica spettacolare" dell'azione e del fantastico.Uno dei film piu' suggestivi che abbia avuto modo di vedere negli ultimi anni, con un uso straordinario di scenografie, costumi, fotografia e degli effetti speciali digitali tra i piu' sbalorditivi che siano mai apparsi sullo schermo.

Con questo film si conclude la trilogia di Ritorno al Futuro. Zemeckis e lo sceneggiatore Gale mantengono fissa la formula del successo: tanto humour, la complicità dei due attori protagonisti, citazioni e le inevitabili complicazioni di trama sul viaggio nel tempo. Ma, arrivati al terzo episodio, la formula risulta eccessivamente ripetitiva anche se cio' non guasta comunque a uno sfrenato divertimento. Il capitolo finale per una trilogia che non annoia mai e che fa sempre piacere rivedere.

Il seguito di Ritorno al Futuro segue il fortunato stile comico-fantascientifico che aveva reso il primo film un successo globale. Pur ripetendo molte delle trovate e delle situazioni già presenti nel precedente, questa seconda parte si regge ancora su una sceneggiatura scoppiettante e originale, che gioca sugli ininterrotti colpi di scena che complicano e modificano continuamente la storia, trascinando lo spettatore fino alla fine senza annoiare mai. Gli attori, gli effetti speciali e la regia di Zemeckis fanno il resto per un film sempre divertente e originale, che piacerà soprattutto ai fan del genere.

Il secondo capitolo della saga non riesce a eliminare i difetti del primo (un'eccessiva lunghezza, un ritmo altalenante) pur rientrando pienamente nel puro e spensierato intrattenimento, con una nota decisamente piu' adulta e originale rispetto agli innumerevoli rivali. Ma purtroppo la pecca principale non e' tanto nella realizzazione ne nella confezione (da serie A) quanto sulla storia in se, che ripete praticamente le stesse vicende del primo film con scarse variazioni, lasciando lo spettatore davanti al solito spettacolone ma senza tensione ne sorprese: l'inizio lento e descrittivo, la parte centrale stile survival e il finale che lascia presagire altri seguiti. Un film nel suo intento riuscito che comunque accontenta pienamente le attese del pubblico, ma si deve pretendere qualcosa in più.

Colpisce per quel realismo talmente veritiero e attuale che lo fa sembrare un thriller, con tre storie che si scontrano scatenando una serie imprevedibile di eventi, con un mix di colpi di scena e trovate che risvegliano l'attenzione del pubblico, forse un po' troppo impegnato nella prima ora a seguire i continui flashback/flashforward che introducono situazioni e protagonisti. Il merito della riuscita del film e' la sceneggiatura perfetta di Arriaga (bravissimo a tratteggiare i complessi di ogni singolo personaggio e ad "incastrarli" nell'intreccio della vicenda), la regia movimentata di Inarritu (in principio veloce e poco chiara, poi lineare e coinvolgente) e la bravura di tutti gli interpreti: da Penn che da malato terminale menefreghista scopre la vita e l'amore dopo il trapianto di cuore, alla Watts che con grande partecipazione interpreta una vedova morsa dal senso di colpa, fino a Del Toro che si cuce addosso la figura scomoda dell'ex detenuto in crisi spirituale.

Con questo straordinario film Zemeckis riesce a fare una cosa incredibile: unire nella stessa inquadratura cartoni animati e persone reali. Ma non solo: fonde due generi cinematografici praticamente opposti, cioè il cartoon e il noir. Con grande stile e ironia, mantiene vive sia le atmosfere delle vecchie detective story sia quelle degli scatenati corti animati di Tex Avery, dei Looney Toones o di Tom e Jerry (come nel bellissimo incipit). Un grande divertimento che non stanca mai, con grandi meriti agli incredibili effetti speciali, alle scenografie, a Hopkins e al cattivo Llyod (bravissimi a mescolarsi con i cartoni) e specialmente ai mille personaggi animati, tutti memorabili dal bimbo col sigaro alla macchina parlante, fino alla fantastica Jessica Rabbit.

E' ovvio che Sin City colpisce per l'originalita' della messa in scena, cosa che ha ispirato poi 300, con la fotografia digitale che fa sembrare lo schermo un fumetto in movimento. Ogni sequenza rimanda alla comic-novel di Miller, tra situazioni assurde, luci e ombre che pervadono la storia con qualche spruzzo di colore qui e la', violenza da cartone animato, personaggi grotteschi alla Dick Tracy e dialoghi pesanti senza spessore, con gran nomi nel cast, tipo Tarantino che dirige la sequenza in auto tra Owen e il cadavere parlante di Del Toro. Desta attenzione l'incipit e il primo episodio con Rourke (forse il migliore delle tre storie presentate), ma poi lo stile di Rodriguez e la sceneggiatura non fanno altro che rendere il tema della vendetta in maniera banale, con la solita scia di sangue e violenza che risulta fin troppo ripetitiva.

Pur mantenendosi nel genere del film per ragazzi, Hunger Games e' un prodotto non così scontato e di sicuro più coraggioso e interessante rispetto a tante pellicole simili. La trama e' un miscuglio di cose già viste (Battle Royale, The Truman Show e perfino L'Implacabile con Schwarzenegger che e' praticamente identico) e l'inizio ci mette un po' ad ingranare, ma lo spettacolo c'e' e il regista e' bravo (e furbo) a tenere desta l'attenzione del pubblico, con una prima parte in cui predilige primissimi piani e una seconda dove comincia l'azione e una discreta suspence. Un grande merito va poi alla giovanissima Lawrence.

Questo seguito di Thor può contare sulle dosi abnormi di effetti speciali, sulle grandiose scenografie, su qualche scena d'azione sparsa qui e la e sull'ennesimo cattivone monoespressivo. Peccato pero' che il regista e gli sceneggiatori si limitino a proporre il solito filmone Marvel senza nessuna idea originale e senza cercare un po' di profondità nella descrizione dei personaggi: tra l'altro quello più interessante, il Loky del bravo Tom Hiddlestone, ha pochissimo spazio e anche il resto dei comprimari servono solo da sfondo all'ennesima lotta tra buono e cattivo. In pratica il solito film Marvel: tanta pubblicità, tanti miliardi spesi ma scarsissima originalità. E naturalmente ci sarà anche il numero 3 poi il 4...finche' Thor morirà...cioè mai.

Cronemberg utilizza l'horror e il fantascientifico per parlare con estremo pessimismo della realtà in cui viviamo e non rinuncia ai suoi temi favoriti: la tecnologia che rende schiavo l'uomo, la mutazione della carne, le ossessioni sul sesso e sulla violenza. Pur con qualche buco di sceneggiatura, Videodrome e' narrato con estrema bravura, pervaso da un'atmosfera tesa e volutamente sgradevole, con diverse sequenze entrate nell'immaginario cyberpunk: la scena di sesso sadomaso tra James Woods (perfetto per il ruolo) e una tv e la trasformazione della mano in una pistola. Disgustosi (nel senso positivo) gli effetti speciali di Rick Baker. Audace e perverso, complesso e inquietante. E per questo memorabile.

Benché' La terra non e' in grado di eguagliare Zombi, La notte o Il giorno dei morti viventi, rimane il miglior zombie-movie degli anni duemila, con personaggi, trama e dialoghi scontati e poco incisivi ma originale nelle singole invenzioni, come la crescente intuizione dei morti viventi a ribellarsi verso i vivi (da segnalare la potente scena in cui emergono dalle acque), la citta' recintata e all'apparenza sicura, la fotografia notturna, la consueta ironia del regista nel rappresentare gli umani come i veri "mostri" e i favolosi quanto violenti effetti speciali di Berger e Nicotero. Per gli appassionati del genere e' degno di nota, per chi e' abituato agli horror tutti effetti digitali e' un tassello di un genere da riscoprire.

L'ennesimo, ripetitivo film Marvel su Wolverine ha tutto quello che ci si aspetta: cazzotti, muscoli, salti mortali e una cattiva dal gran posteriore in tuta di latex. Jackman e' carismatico e in simbiosi con il personaggio, ma sembra che gli abbiano messo lo scotch ai lati della bocca per mantenere il ghigno perennemente incazzato in tutto il film che, a parte le solite scene d'azione di ordinaria amministrazione, e' pure noioso e senza una sola idea originale(tutti gli orientali nel film sono espertissimi delle arti marziali, la solita fiamma amorosa da salvare, solito finale che lascia spazio a un'ennesimo sequel). Speriamo che Wolverine non sia così tanto immortale, senno' ci toccano minimo altri 10 film.

E' la più classica delle storie: un pugile dal cuore d'oro che cade nella miseria durante la Grande Depressione e, da povero operaio, diventa campione del mondo. Una storia di riscatto, di seconde possibilità, di lotta come metafora della vita: tutti temi nel più classico dei racconti americani. Ma Howard sa raccontarlo così bene che ti senti trascinato dalla narrazione e il film affascina, coinvolge e appassiona come nelle vecchie pellicole hollywoodiane. Merito della bravura del regista, della maestosa ricostruzione storica, delle interpretazioni (credibilissimo e misurato in una grande prova Crowe) e di una sceneggiatura piacevolmente romanzata: una storia incredibile e significativa che sembra scritta apposta per un film.

Considero Gli Incredibili non tanto un cartone animato quanto un kolossal d'azione: Brad Bird e i realizzatori della Pixar hanno realizzato un'opera che riesce a intrattenere e lasciare senza fiato qualsiasi tipo di pubblico, costruendo su una trama tutt'altro che banale (simile per certi versi al Watchmen di Alan Moore, con diverse citazioni ai film di 007 in particolare le musiche di Michael Giacchino) delle sequenze d'azione di uno spettacolo unico e sensazionale. L'animazione tocca vertici di originalità (la stilizzazione dei personaggi, delle scenografie, degli oggetti) e perfezione straordinari per la cura di ogni particolare. Come nella maggior parte della filmografia della Pixar e' da menzionare anche l'ottima edizione del doppiaggio italiano. Un film, e' il caso di dirlo, davvero Incredibile.

Per il suo esordio alla regia Haggis sceglie un film corale ambientato a Los Angeles dove diverse storie finiscono con lo scontrarsi con altre. Grazie a una sceneggiatura fitta e ottimamente scritta, il film non annoia mai e costruisce personaggi cosi' veri e ben delineati che permettono al pubblico di emozionarsi e di coinvolgersi con grande partecipazione, con gli ottimi contributi di montaggio e musica. Il film tratta temi alti (razzismo, redenzione, morte, senso di colpa) ma piu' di tutto Crash e' un'opera sull'impossibilita' dell'uomo di capire, di amare e di perdonare il prossimo. Pur non rinunciando a figure facili e qualche stereotipo, rimane un film molto bello con un cast superlativo, in cui svetta un sofferto Matt Dillon.