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Esce ad inizio Aprile, ad otto anni di distanza dall’ultimo, il nuovo film di Gianni Zanasi: "Non pensarci". Si tratta di una produzione ai margini dell’indipendente, con la collaborazione di La7; il cast è di primissimo piano, con Valerio Mastandrea nei panni di un trentaseienne che torna nel paesino dove abita tutto il resto della famiglia (i fratelli sono Giuseppe Battiston e Anita Caprioli). Tra paure e bugie, la famiglia si rivela un nucleo di persone che si conoscono poco tra di loro, ma che scoprono di avere bisogno l’una dell’altra. |
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Il film ruota attorno al concetto di famiglia… |
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Per me era importante evitare di essere astratti. Si parla molto di famiglia, ma rischia di diventare una cosa un po’ astratta; la mia idea era di cercare di essere il più possibile concreti, chiedendosi che cos’è una famiglia: semplicemente un gruppo di persone che più sono vere, più sono imprevedibili e piene di contraddizioni. La famiglia vera è una famiglia imperfetta, ed è un’imperfezione che a me fa ridere. Trovo avventuroso come delle persone anche piuttosto diverse riescano comunque, nonostante le imperfezioni, a vivere insieme, e credo che questo senso di concretezza e non di astrattezza ci sia comunicato un po’ in tutte le fasi del lavoro, sia la scrittura che il lavoro con gli attori; questo per fare uscire l’imprevedibilità delle persone vere, il più possibile autentiche, a discapito di astrazioni o di giudizi. Ecco, ho cercato di raccontare, e non su di me. |
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Il film precedente è del ’99. Otto anni per un altro film: come mai c’è voluto tanto? |
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Credo che siano stati anni non semplici, si era creata una situazione, dal punto di vista produttivo, un po’ complicata, che rendeva la vita molto difficile a chi aveva dei progetti leggermente anomali, fuori linea, e magari aveva anche la colpa di non avere 50 anni, di essere più giovane. Era molto difficile in queste condizioni, se non avevi amicizie particolari, riuscire a convincere una segretaria, e non parlo del produttore.
Adesso mi sembra che gli scenari siano molto diversi per chi ha le palle, e poi mi piace essere positivo. Mi viene da pensare a Lukas Moodysson, che è un regista geniale, ha 36 anni <39, ndr>, svedese, che ha fatto film quali “Toghether” o “Fucking Amal” con costi relativamente bassi e sono film esportati in tutto il mondo. |
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Ci vuoi parlare del lavoro di sceneggiatura per costruire e amalgamare questi personaggi? |
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Fondamentalmente, la cosa che fa accende i motori in questo caso è stato in particolare ridere, cioè: quando mi è apparso per la prima volta il personaggio di Stefano, l’ho visto in autogrill, che guarda una bottiglia di ciliegie sotto spirito della sua famiglia e rimane lì a guardarle. Ecco, io ho riso di questo comportamento un po’ assurdo, però nel frattempo mi comunicava delle cose, e ridendo mi ha dato modo di immaginare molto, altrimenti immagino molto meno.
Poi la scrittura: tra le cose che ho fatto questo mi sembra il lavoro più maturo, più strutturato, a livello di scrittura. Allo stesso tempo però cercavamo una scrittura che non fosse soffocante, per forza perfetta, abbiamo cercato di costruire una cosa che stesse ovviamente in piedi però dando anche spazio alla libertà dei personaggi, seguendoli con una certa leggerezza, senza ancorarli per forza a dei giudizi o dei concetti. Troviamo più divertente seguire le contraddizioni delle persone, se non ho la sensazione di scrivere un film d’avventura non riesco a scrivere. |
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Parlando dell’intensità della scena in cui Stefano torna a casa dopo il concerto: |
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Siamo andati sul set a girar la scena: io cerco di indebolire un po’ certe sicurezze legate a degli aspetti tecnici, e credo di esserci riuscito. Indebolendo l’aspetto tecnico esce di più l’aspetto personale, a tutto vantaggio del personaggio. Mi piace vedere il primo piano di Valerio, sì come dice la battuta, ma come le sue espressioni degradano: fa una specie di monologo soltanto col viso. |
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Progetti futuri? |
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Ne parlavamo con Valerio: abbiamo intenzione di fare un sequel, dal titolo “Ci penso io”; il terzo della serie invece si chiamerà “Fate un po’ come… vi pare”… |
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