|
|
Eagle Pictures porta nelle sale italiane venerdì 20 gennaio "E ora dove andiamo?", secondo film della trentasettenne libanese Nadine Labaki, già apprezzata nel 2007 a Cannes con la sua opera prima "Caramel". In un villaggio in qualche posto non precisato, le donne si riuniscono in segreto per adottare le strategie giuste per evitare che i loro uomini si facciano guerra, cristiani contro musulmani, così come nel resto del Paese. Nadine Labaki, attrice oltre che regista e sceneggiatrice, ha incontrato la stampa italiana a Roma. |
|
|
|
|
|
|
Questo film è un mix tra dommedia, musical e dramma: da dove viene la tua passione per il miscuglio di generi? |
|
Non analizzo mai da questo punto di vista quello che sto per fare: a volte dopo, soprattutto rispondendo a domande di questo tipo, riesco a capire qualcosa in più anche riguardo ai miei gusti.
Da giovane ho sviluppato un rapporto speciale con la televisione, in mezzo a continui conflitti avevo una vita alquanto noiosa: la tv mi aiutava a capire quello che stava succedendo, ma anche che esistevano realtà diverse, che potevo sognare. Per creare una realtà diversa ho deciso fin da piccola di diventare regista.
Quando attraverso un film creo un mondo doverso, sogno attraverso la musica, il ballo, la commedia, il dramma, è un mix mecessario per continuare a sognare. E' importante la possibilità di ridere di una situazione così assurda: attraverso la risata si vedono i propri difetti e si può capire come rimediare ai propri errori.
Il musical, inoltre, consente un approccio non troppo realistico al film: è importante che non sia ambientato in un luogo o in un periodo specificop, perché è un conflitto che non riguarda solo cristiani e musulmani, ma l'essere umano in generale. |
|
Proprio dall'elemento musicale hai scelto di partire: perché? |
|
Quella danza è ispirata da tutte le donne che hanno perso dei figli durante la guerra, che continuano a portare il lutto ed estenano la sofferenza in maniera violenta: è una danza del dolore, una sorta di rituale. Provo ammirazione per loro: non so proprio come riescano a continuare a vivere.
Ho creato dei piccoli movimenti sincronizzati come espressione rituale della sofferenza: ho lavorato moltissimo con Khaled (il marito, oltre che musicista, ndr), per molte di loro, né ballerine né attrici, era la prima volta che ballavano. E' stata la prima scena che abbiamo girato per creare quell'emozione che mi ha dato la forza per realizzare il film. |
|
Il film ha vinto a Toronto ed è i favoriti per la candidatura all'Oscar per il miglior film straniero: come vivi questo periodo? |
|
E' una cosa bellissima e sorprendente: il Libano non esiste un'industria cinematografica, è molto difficile realizzare un film. Il premio a Toronto è stato molto importante perché mi ha aperto molte porte. Questa esposizione ci potrebbe consentire di avere un'industria cinematografica nazionale, o almeno di sognarlo. |
|
In entrambi i tuoi film le donne hanno una grande energia positiva. Fino a che punto credi che possano arrivare per perseguire un obiettivo? |
|
Non ho una risposta definitiva, il film finisce proprio con una domanda posta dagliuomini alla quale le donne non sono in grado di rispondere.
Quel che ho cercato di fare è raccontare le donne: non dico che possiamo portare la pace, ma parlare della responsabilità che sento come essere umano, donna e madre. Non è solo colpa degli uomini, c'è responsabilità anche da parte nostra; inoltre questo conflitto non è solo cristiani contro musulmani, ma è la natura umana.
Non dico che possiamo fermare il conflitto, ma almeno cercare di cambiare le cosa; sarò ingenua, ma io penso, a modo mio, di poter cambiare qualcosa. |
|
Come vivi le cosiddette Primavere Arabe? |
|
Sono orgogliosa di quel che le donne sono riuscite ad ottenere. Ho iniziato a scrivere questo film prima della nascita di questi movimenti, ma ho la sensazione di aver dato anch'io un contributo a modo mio.
Tuttavia sono scettica riguardo alla gestione di quanto ottenuto, su come affronteremo la situazione. |
|
Hai visto "La donna che canta"? Che ne pensi? |
|
Sì, mi è piaciuto molto. Anche ne “La donna che canta” il Libano non è mai citato specificatamente, è un argomento molto delicato.
C'è la tendenza a cercare di rapportare a luoghi, date o eventi specifici, si tende a suddividere in categorie precise, ma se si è troppo specifici non si riescono a dire le cose che si vogliono dire. |
|
Il film è uscito nel mondo arabo? Che accoglienza ha avuto da parte di cristiani e musulmani? |
|
Non è mai andato così bene un film in Libano.
Tutti lo sentono come proprio, la corsa all'Oscar viene seguita da tutti: la gente ne ha abbastanza di questa situazione, in Libano abbiamo 18 confessioni diverse, si sente ormai il bisogno di vivere in pace.
Non c'è stata nessuna reazione negativa, né tra i cristiani, né tra i musulmani, né tra gli uomini. E' argomento di dibattiti e talk show, il titolo è diventato una specie di slogan. |
|
Perché hai scelto di girare il film in arabo? |
|
E' stato naturale, l'arabo è la mia prima lingua. In questo modo ho la speranza che venga visto dal massimo numero di persone fuori dal Libano, volevo cambiare l'immagine stereotipata non molto positiva del mondo arabo e volevo far sentire questa lingua che è molto bella. |
|
Nei tuoi sogni da regista, Hollywood è una meta o un luogo da evitare? |
|
Se Hollywood mi permettesse di realizzare quel che voglio, perché no?
Il mio obiettivo non è andare a Hollywood e fare un film più 'grandioso', il mio obiettivo in tutti i film è fare esperimenti con la realtà, che è anche il motivo per cui ho lavorato con molti non attori. Voglio fare film che contengano qualcosa, con i quali le persone possano identificarsi, in modo che il film possa avere un impatto sulla loro vita. Voglio che il cinema diventi un'arma che ci consenta di cambiare le cose. |
|
|
|
Ultime Interviste |
|
|
|
Tomm Moore La canzone del mare: "voglio che i bambini conoscano le nostre storie e leggende" |
|
|
Alexandra Leclère Benvenuti... ma non troppo: "una commedia pura che fa riflettere" |
|
|
Martin Zandvliet Land of mine - Sotto la sabbia: "una storia importante e sostanzialmente sconosciuta" |
|
|
Andrew Haigh Weekend: "un'onesta, intima, autentica storia d'amore" |
|
|
Brian Helgeland Legend: "Come si racconta la vita di una persona realmente esistita?" |
|
|
Carlo Verdone L'abbiamo fatta grossa: "la critica di costume deve essere parte della commedia" |
|
|
Virág Zomborácz Mózes, il pesce e la colomba: "ho iniziato a scrivere sceneggiature a sei anni! |
|
|
Francesco Calogero Seconda Primavera. "la capacità di interpretare la realtà è spesso contraddittoria" |
|
|
Vincenzo Salemme Se mi lasci non vale: "l'amicizia e l'amore devono essere credibili" |
|
|
Lorenzo Vigas Ti guardo: "ogni uomo cerca di riempire una vasta mancanza di emozione" |
|
|