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E' in sala l'attesissimo quinto film di Xavier Dolan, classe 1989. "Mommy", vincitore del Premio della giuria a Cannes ex aequo con "Adieu au langage", racconta la difficile vita di una madre che deve gestire un figlio violento in un ambiente difficile. Dopo "Tom à la ferme", presentato al Festival di Venezia 2013, un'altra pellicola che conferma il talento di Dolan. Il regista racconta alla stampa i temi che lo hanno ispirato nella scrittura e nella lavorazione del film. |
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Cosa l'ha ispirata nella scrittura del film? |
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Sin dal mio primo film, ho parlato molto dell'amore. Ho parlato dell'adolescenza, dei rapimenti e della transessualità. Ho parlato di Jackson Pollock e degli anni '90, di alienazione e di omofobia. Dei college e del termine spiccatamente franco-canadese "speciale", della cristallizzazione di Stendhal e della Sindrome di Stoccolma. Ho usato un linguaggio sciocco e anche triviale. Ho parlato in inglese, di tanto in tanto, e troppe volte ho anche detto delle vere e proprie scemenze. Perché è questo il rischio che si corre quando si parla delle cose: ossia il fatto che ci sia sempre il rischio, inevitabile, di dire delle scemenze. E' il motivo per il quale ho deciso di rimanere nel campo delle cose che conosco, o di ciò che è nelle mie corde, per così dire. Delle tematiche che ritenevo di conoscere a fondo, o perlo meno a sufficienza, perché fanno parte di me o del quartiere nel quale sono cresciuto. O perché sapevo quanto vasta fosse la mia paura degli altri, e quanto lo sia ancora. Perché conoscevo le bugie che raccontiamo a noi stessi quando viviamo in segreto, o l'inutile amore che caparbiamente offriamo ai ladri del tempo. Sono queste le cose alle quali mi sento sufficientemente vicino per poterne parlare. |
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Tra questi temi ce n'è uno a cui tiene particolarmente? |
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Ma se c'è un tema, anche solo uno, che conosco meglio di qualsiasi altro, uno che mi ispira incondizionatamente, e che amo sopra a tutti gli altri, è certamente mia madre. E quando dico mia madre, intendo LA madre in senso lato, la figura che rappresenta. Perché è su di lei che torno sempre. E' lei che voglio vedere vincere la battaglia, è per lei che voglio inventare problemi che lei possa avere il merito di risolvere, è attraverso di lei che mi pongo delle domande, è lei che voglio sentire gridare quando non ci siamo detti una sola parola. E' lei che voglio che abbia ragione quando avevamo torto, è sempre lei che ha l'ultima parola su tutto.
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Questo argomento è centrale anche nel suo film di esordio... |
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Ai tempi di “J'ai tuè ma mère” sentivo di voler punire mia madre. Da allora sono passati solo cinque anni, e credo che per mezzo di “Mommy”, stia cercando di farla vendicare. |
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