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Meduse, film diretto da Shira Geffen e suo marito Etgar Keret, è stato presentato al Nuovo Sacher di Roma. L'opera prima, vincitrice della Caméra d'Or di Cannes 2007, sarà in sala a partire dal 16 Novembre, distribuito dalla Sacher distribuzione. I registi, in compagnia di Nanni Moretti, hanno incontrato i giornalisti e spiegato l'essenza di un film malinconico e sospeso, tra bisogno di affetto e mancanza di comunicazione. |
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Quale è stato il motivo per cui avete diretto insieme un film la cui sceneggiatura è firmata solo da Shira? |
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EK: Mi innamorai immediatamente della sceneggiatura del film, ma quando ci mettemo a cercare un regista israeliano per girarlo, entrambi rimanemmo insoddisfatti. Allora decisi di farlo io, e mia moglie semplicemente si è fidata di me. La amo anche per questo!... |
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Ci sono vari modi di dirigere un film "a quattro mani". Il vostro quale è stato? |
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EK: Semplicemente abbiamo fatto tutto insieme, e alla fine ci siamo resi conto che è stato molto più facile girare un film insieme che vivere insieme. L'obiettivo infatti era lo stesso, mentre nella vita di tutti i giorni ognuno ha i propri. Io per esempio sono scrittore mentre Shira lavora a teatro. |
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E siete sempre stati d'accordo sulle scelte? |
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SG: Assolutamente no, ma visto che viviamo assieme da dieci anni siamo sempre riusciti a trovare un compromesso. Quando ci rendavamo conto che una scena era particolarmente importante per uno di noi, ci si accettava a vicenda. |
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Quanto è stato difficile mettere insieme un cast che comprende attori professionisti e non professionisti, e persino il papà di uno dei registi? |
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EK: Sicuramente la difficoltà più grande è stata quella di portare i protagonisti del film tutti su uno stesso 'livello' di recitazione. E' stata una sfida interessante, ma anche divertente. Joy ad esempio fa la badante anche nella vita reale, e non ha avuto problemi nel recitare una parte che vive ogni giorno, tranne nella scena del colloquio: continuava a ripetere il suo vero nome... Mio padre invece vendeva davvero i gelati, di cui è ghiotto, in spiaggia. Il problema fu che rischiammo di non girare una scena perchè una volta li stava finendo tutti... |
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In questa Tel Aviv non c'è la guerra, neanche il suo eco. Perchè? |
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SG: Abbiamo deciso così fin dall'inizio, cercando di rappresentare un'altra guerra: quella dentro le persone. Anche in situazioni drammatiche come la nostra infatti, crediamo che alla fine i problemi degli uomini siano sempre gli stessi, come il bisogno di affetto, le bollette da pagare o un trauma infantile...
EK: Inoltre credo che l'assoluta mancanza di alcun tipo di violenza nel film, sia proprio una delle ragioni del suo successo, per esempio per i produttori, che hanno apprezzato questa scelta. |
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Nel film il mare è uno dei protagonisti... |
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SG: ...sì, lo è, e in effetti in moltissime scende del film c'è la presenza dell'acqua. Personalmente credo che il mare rappresenti il nostro inconscio, le nostre paure, le nostre esperienze traumatiche e tante altre cose, probabilmente la vita stessa. |
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Si parla di relazioni, anche amorose, eppure manca del tutto un bacio... |
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EK: Sì è vero. I personaggi sono tutti un po' fiabeschi, e mostrare un contatto, una passione, avrebbe significato portarli su un piano 'terreno', per questo abbiamo deciso di non mostrare neanche un semplice bacio. |
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Vi aspettavate il successo ottenuto in Israele e a Cannes? |
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SG: Assolutamente no, anche perchè prima di iniziare le riprese ci siamo detti che comunque fossero andate le cose avremmo continuato a fare quello che abbiamo sempre fatto: io lavoro a teatro, Etgar è scrittore. Ovviamente il film ci ha cambiati, magari adesso ci butteremo completamente nel mondo nel cinema, ma è troppo presto per saperlo.
EK: E' vero, non ci aspettavamo niente da questo film. Semplicemente eravamo contanti di farlo, ma ora tutto quello che ci sta accadendo è inaspettato e bellissimo, e non so cosa ci riserverà il futuro. |
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