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Palma d'Oro a Cannes 2015, arriva ora sugli schermi italiani "Dheepan" di Jacques Audiard. Il film racconta l'emigrazione di un ex combattente tamil che arriva in Francia e cerca di ricostruirsi una nuova vita. Girato con un cast composto da molti esordienti il film ha ottenuto un plauso quasi unanime della critica. Audiard racconta alla stampa la lavorazione del film. |
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Da dove viene il personaggio di Dheepan? |
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Viene da Noé Debré che un giorno è venuto a trovarci e ci ha proposto questa idea di una coppia di stranieri molto stranieri, questa idea di due personaggi tamil in fuga dal conflitto cingalese Non esiste alcuna rappresentazione cinematografica di questa realtà! Cosa sappiamo noi del conflitto tamil? Noé ci ha mostrato un documentario della BBC “No Fire Zone”, che è peraltro di una violenza a volte al limite del sostenibile, ma che racconta la peculiarità di questo conflitto: le forze governative negoziavano delle "No Fire Zones", nelle quali si rifugiavano le popolazioni tamil. Poi queste zone venivano bombardate e le sacche di resistenza si sono in tal modo via via ridotte fino a quando i tamil non si sono ritrovati sempre più accerchiati |
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Qual è stato il contributo degli attori e il loro vissuto a questa storia? |
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Ho esitato a fare il film sulla semplice bontà della sceneggiatura. Non volevo rinnegarla, ma mi facevo delle domande. Il materiale del copione era abbastanza fresco? Era semplicemente un film di "vigilantes"? Trovavo anche che per ragioni di tematiche e di ambiente potessero esserci alcune somiglianze con “Il profeta”. Per un certo periodo mi sono interrogato su questo punto, ma il momento che per me è stato decisivo è stato quando ho visto gli attori. Insieme a loro ho ritrovato quello che era all'origine stessa del progetto: fare un film di genere con attori completamente stranieri e che questa stessa alterità entrasse nel genere. Questa sorta di alterità che cercavamo per il film la trovavo con naturalezza in loro. Ho passato lunghi momenti di immersione con i tre attori, un'esperienza piuttosto singolare. E poco a poco il quartiere di La Coudraie diventava realmente una terra straniera. Inoltre il film non poteva articolarsi troppo sulla finzione. L'aspetto più importante era l'interiorizzazione dell'intero percorso da parte dei personaggi: la loro evoluzione sul piano interiore e gli uni verso gli altri. Era fondamentale. |
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Gli attori avevano letto la sceneggiatura, ma erano consapevoli che avevano
l'incarico di colmare queste lacune volute? |
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Shoba e Kalie hanno capito fino in fondo in quale direzione sarebbe evoluto il film. E per me era abbastanza importante percepire la carica erotica delle scene tra Vincent Rottiers e Kalie. Ero interessato al film attraverso queste evocazioni del desiderio. All'improvviso nasceva qualcosa che avrebbe illuminato il racconto. C'era qualcosa di più definito e incarnato sul piano della sensualità |
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Le riprese a La Coudraie hanno influenzato il film, come è accaduto con la
scoperta degli attori? |
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Per il quartiere periferico abbiamo a lungo cercato un dispositivo scenografico particolare. Gli ambienti erano un imperativo nella sceneggiatura, erano essenziali al confronto, al concetto della "No Fire Zone". Ma sobborghi con una simile configurazione non esistono più, sono stati per la maggior parte demoliti. Poi abbiamo trovato La Coudraie, a Poissy. Un paesaggio in fase di desertificazione, ma soprattutto la collaborazione degli abitanti hanno indubbiamente contributo al risultato finale del film. Ma resta un ambiente, un ambiente molto frontale e non sociologico. Altrimenti lo avremmo trattato in modo diverso. |
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