Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Intervista: Jacques Audiard

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Esce in Italia il 26 Febbraio "Il Profeta", quinto lungometraggio di Jacques Audiard, col quale il regista francese ha conquistato Cannes (Gran Premio della Giuria, battuto nella corsa alla Palma d'oro da Haneke) e il pubblico oltreoceano (candidatura ai Golden Globe e agli Oscar, purtroppo sempre in compagnia di Haneke). La Bim, che distribuisce la pellicola in Italia, ha diffuso un'intervista anella quale Audiard racconta il suo film, ma anche il suo cinema fatto di lunghe pause creative che vorrebbe ridurre, per girare più spesso.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 1C'è dell'ironia nel titolo "Il Profeta"?
L'ironia è un elemento concreto anche se non evidente. Il titolo è un'allusione, costringe a capire qualcosa che non viene necessariamente sviluppata nel film, e cioè che il nostro protagonista è un piccolo profeta, un nuovo prototipo di uomo.
Inizialmente volevo trovare l'equivalente francese di una canzone di Bob
Dylan intitolata “You Gotta Serve Somebody”, secondo la quale tutti noi
siamo sempre al servizio di qualcun altro. Mi piaceva il fatalismo e la
dimensione morale di questo titolo ma non sono riuscito a trovare una
traduzione soddisfacente e quindi il film è rimasto "Un Prophète".
Intervista Jacques Audiard: Domanda 2Come mai ha scelto di raccontare questa storia?
Io e Thomas Bidegain eravamo interessati a sviluppare il soggetto di Abdel Raouf Dafri e Nicolas Peufaillit in una storia cinematografica. Volevamo trovare il modo di rendere "Il Profeta" contemporaneo, creando eroi che nessuno conosce, scritturando attori che non fossero già icone del grande schermo, come gli arabi ad esempio. In Francia si tende a rappresentarli sempre in modo realistico o sociologico. Noi invece volevamo creare un film puramente di genere, un po' alla maniera di un western che racconta le gesta eroiche di persone comuni.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 3Come ha scelto Tahar Rahim per la parte principale?
Sono sempre stato attratto da prototipi maschili non necessariamente
caratterizzati dal testosterone. Potrei tracciare un parallelo fra Mathieu Kassovitz, con cui ho lavorato diverse volte, e Tahar Rahim. Non perché l’uno mi ricordi per forza l’altro, ma perché entrambi sono due tipi di uomo che colpiscono la mia attenzione.
Quanto al suo ruolo, in parte ho attinto all'immagine dell'arabo al cinema, che viene rappresentato come uno stupido – e in questo caso spesso è anche un terrorista – o semplicemente come la vittima di un contesto sociale rappresentato realisticamente. Partendo da questi stereotipi, mi sono posto il problema della scelta degli attori. Per il ruolo di Malik avevo bisogno di una persona estremamente versatile che incarnasse perfettamente il tema dell'identità presente nel film. Un uomo giovane, senza storia, che però ne scriverà una davanti ai nostri occhi. Fin dall'inizio sapevamo che questo ruolo non poteva essere recitato da un attore conosciuto, proprio perché è la storia di qualcuno che sale al potere, e che gradualmente acquista visibilità.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 4Il film trasmette l’idea che la conoscenza si un modo per conquistare il potere.
Si, ed è proprio questo, secondo me, l'elemento più interessante. Malik rompe gli schemi, non è il solito hooligan. Il film segue soprattutto il suo percorso mentale, una mente che lavora e che mostra una straordinaria capacità di adattamento, che il personaggio sfrutterà in ogni modo: all'inizio per salvarsi la pelle, poi per sopravvivere e migliorare la sua condizione e infine per raggiungere un livello superiore di potere.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 5Malik sembra aver sviluppato un rapporto distaccato e opportunistico con la
sua identità.
I corsi lo considerano un arabo e gli arabi un corso. E' diviso fra due mondi, anche se tende naturalmente verso la sua comunità, dove scopre ciò che ignorava. Perché in realtà non appartiene a niente e a nessuno.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 6Quanto al fantasma di Reyeb?
Il fantasma di Reyeb è funzionale agli sceneggiatori perché offre delle possibilità, conducendo lo spettatore verso un altro livello di immaginazione, che lo aiuta a liberarsi da ciò che è stato appena raccontato. Attraverso il fantasma evochiamo le idee dei sufi e dei dervisci e la sceneggiatura acquista un'altra dimensione.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 7Come caratterizzerebbe il rapporto di César con Malik?
Nello scrivere il copione volevamo sottolineare l'idea di padre e figlio per riflettere il rapporto fra padrone e schiavo. Cesar non è il padre di Malik ma lo tiene in suo potere, è duro con lui e non mostra alcuna tenerezza paterna nei suoi confronti. Non c'è sentimento di amicizia o di affetto fra loro, si tratta unicamente di un rapporto di controllo.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 8"Il Profeta" è un film morale?
Sì, sarebbe stato immorale creare un personaggio senza coscienza. Tuttavia il protagonista conosce sia il bene che il male perché di male ne ha subito parecchio.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 9In tutti i suoi film c'è un punto in cui l'immagine è totalmente oscurata per far risaltare un unico dettaglio.
Sì, è un piccolo effetto che chiamo ‘La Mano Negra’, che ho iniziato ad utilizzare nei miei primi film in super 8 e che ora uso su larga scala; è un effetto speciale piuttosto costoso. Infatti, spesso trovo che ci siano troppe immagini, troppe luci, troppo campo, che l'inquadratura sia troppo aperta e che abbia bisogno di essere ridotta. Si tratta di un rapporto assolutamente feticista che ho con le immagini.
Intervista Jacques Audiard: Domanda 10Cosa le riserva il futuro?
Quando va tutto bene faccio un film ogni 3-4 anni. Vorrei girare di più perché questo risolverebbe molti problemi, in particolar modo la paura. Sono troppo apprensivo, impiego troppo a scrivere. Ci abbiamo messo tre anni per scrivere questo copione, troppo tempo.
Non ho più voglia di scrivere: ci sono tanti temi che mi interessano ma che poi non riesco a mettere a fuoco. Sul set, il copione alla fine mi annoia, ho l'impressione di conoscerlo a memoria e inizio a dubitare di me stesso. Voglio che la prossima volta le cose vadano diversamente.
Sono certo che se non fossi così coinvolto in ogni fase del copione, e se girassi più spesso, mi sentirei molto più libero.
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Il Profeta
di Jacques Audiard
Drammatico, 2009
149 min.
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