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Dopo il duro e freddo "Come dio comanda" Salvatores cambia completamente registro e traspone sul grande schermo una commedia teatrale brillante: Happy family. Il regista milanese sembra divertirsi nel giocare con i piani narrativi e sperimentare nuove estetiche, affidandosi ad un cast di grande livello: tra gli altri Margherita Buy, Fabio De Luigi e la coppia Bentivoglio-Abatantuono, riunitasi 20 anni dopo “Marrakech Express”. Il film, distribuito da 01 in circa 300 copie, uscirà nelle sale il 26 marzo. |
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Le sequenze del film sono caratterizzate da colori: rosso, giallo, bianco, nero... Esiste un legame tra le sfumature di colore e il significato delle scene? |
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Sì, abbiamo cercato di realizzare un film che dal punto di vista estetico non avesse alcuna attinenza con la realtà, visto che i personaggi che si vedono in scena sono esclusivamente frutto dell'immaginazione dello scrittore Ezio. Proprio per questo motivo abbiamo inquadrato Milano sempre un po' dal basso, in modo da tagliare fuori la strada, che rappresenta in qualche modo il contatto con la realtà. Il lavoro alla fotografia di Italo Petriccione è stato fondamentale da questo punto di vista. |
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C’è una scena che ricorda la copertina di "Abbey Road" dei Beatles. |
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Sì, anche se in realtà è casuale, ma ci sono altre immagini che rimangono nella memoria di una generazione, come la copertina dei Beatles. Il film, come detto, è tutto giocato sui colori calcolate in maniera molto precisa per ogni sequenza, ed è stato compiuto un gran lavoro per elaborare una messa in scena assolutamente antirealistica e surreale. Per quanto riguarda invece la sequenza in cui in sottofondo c’era un notturno di Chopin, che era difficile da coprire perché durava 4’15”, ho pensato di associare alla composizione le immagini di una Milano notturna: volevo far uscire la vita di Milano di notte, che non si vede mai molto. Inoltre, volevo creare una analogia tra il bianco e nero dei tasti del pianoforte e quello delle guglie del Duomo. Ho pensato che in questo modo si potesse dare un taglio diverso alla sequenza, che è l'unica in cui sono inquadrati persone e volti tratti dalla realtà. |
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Gabriele, c'è qualche personaggio che le è sfuggito di mano, come accade al protagonista di Happy Family? |
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Direi che mi è successo quasi sempre con i personaggi interpretati da Diego Abatantuono, ma la cosa si è risolta a mio favore... |
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E il personaggio interpretato da Fabio De Luigi è il tuo alter ego, stile Woody Allen? |
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Sì,sì. Fabio è assolutamente il mio alter-ego. |
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Il film affronta temi a lungo dibattuti da grandi autori della letteratura, come Pirandello, Shakespeare o Calderón de la Barca. |
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Beh, su questo dovrebbe rispondere più che altro l'autore della commedia, Alessandro Genovesi. Per quanto mi riguarda è un problema di molti registi, e anche io mi rendo conto che è difficile distinguere la vita vera e quella che metti in scena attraverso i film. Anzi, Luc Besson mi ha confidato di voler smettere di dirigere proprio per questo motivo: per questo cercherò da ora penserò di essere più sperimentatore nelle mia vita personale che non al cinema. |
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Ormai hai affrontato quasi tutti i generi: sei uno sperimentatore e ormai ti manca solo l’animazione... ti ci vorresti cimentare? In fondo questo film si sarebbe prestato alla perfezione per questa tecnica. |
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L'animazione mi è sempre piaciuta: nell'ultima edizione degli Oscar ha vinto un film, “Up”, di straordinaria bellezza, in alcuni punti quasi bergmaniano. Perciò se la tecnologia fosse stata disponibile, mi sarebbe piaciuto realizzarlo in un misto tra 3D e 2d, in modo da rendere ancora meglio lo sconfinamento dei personaggi da una realtà all'altra. |
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Come mai il film è strutturato in tre parti? |
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Il film è diviso in tre capitoli, che ripercorrono in qualche modo le fasi della nostra vita. All'inizio siamo solo "Personaggi", e la nostra parte è ancora solo abbozzata. Poi entrando in contatto con altre persone scattano le "Confidenze". Le relazioni infine sono necessarie per poter poi creare una "Family". Ma questi tre aspetti corrispondono anche al processo creativo che porta alla nascita di una storia: i personaggi dapprima sono solo abbozzati, poi li fai reagire tra di loro e se sei fortunato possono uscirne fuori dei sentimenti autentici. Gli stessi personaggi di questo film chiedono questo! |
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C’è un passaggio in cui si dice "La gente non si può prenderla in giro, se inizi a raccontare una storia devi anche portarla a termine". Qualche riferimento politico? |
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No, no. La frase in questione era riferita alla mia idea di cinema: può raccontare di tutto, affrontare qualunque genere realistico o fantastico, ma non può mai raccontare bugie. Comunque sebbene riferito al cinema, il cinema è reale, e la realtà è anche politica... Bisogna dire che purtroppo attualmente viviamo in un'epoca in cui si dicono troppe bugie. E il tema della virtualità, che mi interessa sin dai tempi di “Nirvana”: “Cosa è vero? Cosa è falso?”, lo riscontriamo ormai anche nella nostra vita quotidiana. I telegiornali di oggi sono molto simili per certi versi a delle realtà virtuali.. |
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