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A Roma per presentare "Arthur e il popolo dei Minimei", il giorno dopo la proiezione per i ragazzi Luc Besson incontra la stampa al cinema Adriano.
A poco più di un anno dall’uscita di "Angel-A", il regista parigino racconta il suo lavoro durato 5 anni, partendo da un suo libro, passando per il set, fino ad approdare al mondo del 3-D.
Dalla favola alla realtà, Besson illustra la sua visione del mondo, più europea che francese. |
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“Arthur and the Minimoys” è il suo primo lavoro ne campo dell’animazione, e segue “Angel-A”, una sorta di ‘pausa’ dalla tecnologia: quali sono state le difficoltà tecniche? |
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Non è stato facile mettere insieme 700 persone, nessuna delle quali aveva mai lavorato su film d’animazione. Inoltre non volevo fare un normale film in 3-D, ma mischiare vera natura e 3-D: le case del villaggio le abbiamo costruite per davvero in teatro! |
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Come ha lavorato sui personaggi, a livello di creazione e di animazione? |
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Tecnicamente abbiamo iniziato con uno storyboard di 4000 disegni. Poi abbiamo girato tutto quanto con veri attori, è il momento in cui si captano le emozioni, la sensibilità. Quindi il tutto è stato montato e consegnato a 350 persone della 3-D che in 2 anni e mezzo lo hanno trasformato nel prodotto finale, dando appunto ai personaggi le sembianze animate tridimensionali grazie a centinaia di foto e disegni che li riprendevano da diverse angolazioni. |
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Si parla di una trilogia; è questo il programma? |
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Il programma dipende dalle richieste del pubblico, quattro novelle già ci sono. Per ora è andato bene, in Francia come in Europa (dove uscito) ha avuto successo, quindi continueremo nel progetto della trilogia. |
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Quali sono i tempi di lavoro previsti per i prossimi film? L’attore che impersona Arthur sta crescendo, e non sarà più molto credibile... |
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Si tratta di una nuova storia, quindi non ci saranno problemi da questo punto di vista. Il secondo e il terzo saranno però legati tra loro, per questo motivo li gireremo insieme. La data d’uscita prevista è il 2009 per il secondo, l’anno successivo per il terzo. |
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In inglese le voci sono di Madonna, Snoop Dog, David Bowie: questo ha comportato un condizionamento somatico dei personaggi? |
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No, prima sono venuti i personaggi, poi abbiamo cercato chi fosse adatto a prestar loro la voce. E’ stata una ricerca lunga, condotta per tutte le lingue nel quale è stato doppiato, ma è stato facile perché hanno accettato subito tutti quanti.
Mylène Farmer ha fatto un ottimo lavoro per il francese, così come Madonna per l’inglese: ho pensato a lei da subito, è adatta a fare la donna forte ma dolce. |
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Si tratta del film d’animazione Europeo girato senza soldi americani che ha riscosso maggior successo. Eppure il budget iniziale era molto elevato, ci sono stati problemi a livello di produzione? |
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Abbiamo creato una società, l’Europacorp, interamente europea, non abbiamo avuto nemmeno finanziamenti statali. L’Île de France, per esempio, sostiene i film girati nella regione, nelle periferie difficili: noi avevamo tutti i requisiti, creando 700 posti di lavoro all’anno, eppure non c’è stato concesso alcun finanziamento. Una volta non mi davano soldi perché non ero nessuno, adesso non me li danno perché pensano che non ne abbia bisogno...
Sono stato accusato d’aver creato un’azienda con dentro tante cose, dalle banche ad altri sponsor. Ma come potevo tirar fuori 65 milioni di euro senza finanziamenti? O lo Stato o degli sponsor sono necessari, qui pretendono che tu giri un film da 60 milioni di dollari senza sponsor, poi però se lo fanno in America nessuno ha nulla da ridire... |
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Parlando di Europa e Stati Uniti: nella storia dell’animazione, abbiamo un punto fermo, la Disney, abituata a prendere soggetti europei e a stravolgerli. Lei... |
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No, io sono rimasto fedele all’autore, senza stravolgimenti (sorride: l’autore del libro è lo stesso Luc Besson, n.d.r.). Quanto alla Disney li capisco: i soggetti europei sono il risultato di un patrimonio storico-culturale millenario europeo al confronto di due secoli appena; d’altro canto dire ai bambini che una cosa che li appassiona tanto finisce male non è il massimo... |
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...Lei, invece, ha scelto di ambientare il suo film negli Stati Uniti: perché? |
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“Arthur” è ambientato nel Connecticut tra gli anni ’50 e ’60. I motivi sono diversi: non sarebbe stato possibile ambientarlo al giorno d’oggi per via di pesticidi, tagliaerbe, autostrade. L’epoca di questa favola è quella della mia infanzia, la ruralità è l’elemento di base.
Ho preferito gli Stati Uniti all’Europa perché lì è tutto colorato, non sono passati per una guerra che qui ha segnato indelebilmente il paesaggio.
Comunque non è una storia americana, assolutamente: è una storia universale, con richiami all’Africa, all’esplorazione, incentrata su un bambino solitario costretto a inventarsi dei giochi. |
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Quindi Besson si lancia in una riflessione sul mercato cinematografico europeo e quello americano: |
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Il cinema francese è vivo, ha il 45% delle quote di mercato; in Italia invece le cose vanno un po’ peggio. Ma negli USA hanno capito da 30 anni che il cinema è il miglior veicolo di comunicazione, anche per vendere il proprio paese, i propri prodotti.
I governi Europei non hanno ancora capito che il film è una vetrina del paese, è un investimento pubblicitario più economico di tanti altri.
Per fare un esempio, il governo greco mi ha ringraziato perché “Le grand bleu” ha aumentato del 30% il turismo nelle isole.
Gli USA ci hanno invaso con i loro prodotti anche attraverso il cinema. |
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A proposito, non è stata bella l’esperienza sul mercato italiano per “Le grand bleu”... |
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L’esperienza in generale è stata ottima, il film è andato bene, tranne che in Italia. E’ la prima volta che in un paese viene vietato un film che non parla di sesso, politica, violenza o armi.
I problemi sono nati perché Maiorca non voleva farlo, quindi abbiamo creato Molinari un personaggio di finzione; tant’è che quando gli avvocati di Maiorca, un anno dopo, hanno sporto denuncia, il processo lo abbiamo vinto. Purtroppo abbiamo perso un altro processo, a Siracusa, per ‘lesione della dignità dell’uomo italiano’, ci hanno imposto dei tagli che io ho rifiutato: per questo il film non è uscito. |
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Tornando alla dicotomia Europa-Stati Uniti: lei sembra più europeo che francese... |
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Mi piace viaggiare per l’Europa, ricevere in giro sostegno morale.
Con “Arthur” c’è stata la possibilità, per 700 europei e 350 tecnici, di lavorare qui in Europa senza essere obbligati ad andare negli USA per trovare lavoro. Ho intenzione di incentivare questa sorta di ‘controesodo’: per esempio, produrremo il prossimo lungometraggio di un cartoonist francese che, dalla Dreamworks, tornerà a lavorare in Europa. |
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Dal pubblico, infine, arriva una critica sull’utilizzo della musica moderna: cosa c’entrano con gli anni ’50 o ’60 rap e dance music? |
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Il rap c’è solo nei titoli di coda, ho scelto brani da disco vecchi per la scena in cui ballano. Sono troppo moderni? Beh, mi piaceva quella musica lì. |
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