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Wong Kar-wai: sconosciuto ai più fino a pochissimi anni fa, il regista di Hong Kong è oggi considerato tra i migliori. Dopo In the mood for love, un enorme successo di critica e pubblico, sono usciti quasi contemporaneamente Eros, firmato anche da Michelangelo Antonioni e Steven Soderberg, e 2046, che riprende il discorso di In the mood for love. |
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2046 è in pratica il seguito di In the mood for love, stessa epoca, stesso protagonista: quali sono le differenze tra i due film? |
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Ve ne sono diverse: il giornalista, interpretato ottimamente da Tony Leung, in 2046 è diventato cinico, ha smesso di credere nei valori della famiglia, non è più capace di apprezzare una donna finché non entra a far parte del suo passato.
Mentre nel primo film v’erano i due ruoli principali ben definiti, in 2046 il giornalista, con le sue numerose relazioni ed i suoi ricordi, ma soprattutto con le trasformazioni appena dette, è protagonista unico.
In the mood for love racconta una storia d’amore, 2046 è un racconto di memorie: le mie, prima di tutto. |
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Il ritmo dei suoi film, 2046 in particolare, è piuttosto lento: un ingrediente indispensabile nella filmografia orientale o una sua scelta? |
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Una mia scelta, il ritmo lento rispecchia l’andamento che aveva la vita negli anni ‘60, quando non c’era la frenesia di oggi e le persona si fermavano più facilmente a riflettere sui propri ricordi.
Sono gli anni che ricordo con maggior piacere, ed ho scelto di immortalarli prima che vengano fagocitati dalla legge dell’usa e getta. |
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La parte più importante, o una delle principali, nei suoi film, sembra essere la colonna sonora. |
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È importantissima, è vero: ma non ha sempre lo stesso significato. In In the mood for love ho usato musica che negli anni ‘60 si ascoltava continuamente per radio, al fine di ricreare l’atmosfera del periodo. In 2046 è invece un miscuglio di generi diversi, ognuno associato ad un personaggio; una sorta di impressionismo musical-cinematografico, mirato ad evocare atmosfere nostalgiche. |
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Il finale non risolve la vicenda. |
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Risponderò con una metafora: un film, secondo me, è come un pasto incompleto. Il finale è il dessert che il pubblico è libero di scegliere, almeno tra quelli previsti nel ‘menu’. |
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Quale interesse trova nel raccontare storie di erotismo? |
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Parlerei di erotismo solo a proposito di Eros, che ho girato principalmente perché era l’occasione di lavorare con Michelangelo Antonioni, uno degli autori che mi ha maggiormente formato nel cinema e nella vita. Per quel che riguarda 2046 preferisco parlare di amore. |
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Già, ma un amore che non si concretizza. |
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Lo credo bene: non credo che uno spettatore possa desiderare un film che parla di amori felici, né sarebbe un film credibile. Comunque l’assenza del lieto fine non implica un finale amaro. Sta allo spettatore crearsi il finale più consono ai suoi desideri. |
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Il significato di 2046 è perlomeno oscuro. |
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In tutti noi c’è la necessità di avere un luogo dove nascondere o riporre le proprie memorie, i propri pensieri, impulsi, speranze e sogni.
Sono una parte della nostra vita sulla quale non possiamo decidere o meglio agire ma che al tempo stesso temiamo di abbandonare.
Per alcuni quel luogo è un posto fisico, per altri uno spazio mentale e per altri ancora, niente di tutto ciò. Comunque, per me l’essenziale non è se possiamo o meno raggiungere il personale 2046, ma se noi in quanto esseri umani vogliamo veramente avvicinarci a questo luogo dove scoprire o recuperare quelle vecchie memorie… una volta arrivati, credo che ognuno di noi verrà colpito e sopraffatto dal peso di tutto ciò che ci siamo sforzati di seppellire e dimenticare. |
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Sta forse pensando ad un seguito anche di 2046? Il finale, per quanto aperto, non sembra andare in questa direzione. |
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Difatti non ne ho intenzione. Penso che mi dedicherò a tutt’altro, anzi, ne sono sicuro: ci sono in ballo due progetti, La signora di Shangai con Nicole Kidman, niente a che vedere col film di Orson Welles, ed una storia ispirata alla vita di Bruce Lee, ma per ora non intendo dir di più… dovrete aspettarmi alla stanza 2006. |
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