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La sala stampa freme prima dell'ingresso di Sean Penn: aleggia la sensazione di aver appena assistito ad un capolavoro, e di non essere ancora in grado di confrontarsi con il regista - nonché sceneggiatore e produttore insieme alla Paramount.
Occhiale scuro e jeans, accompagnato dall'ottimo Emile Hirsch, il regista (di origini italiane) parla dell'importanza del cambiamento, di sottrarsi alle regole per inseguire prima di tutto se stessi: attraverso la Natura. |
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Partiamo dalle musiche e la scelta di Eddie Vedder (cantante dei Pearl Jam): |
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Questa musica mi è venuta in mente quando ho scritto la sceneggiatura; l’idea era di usarla per le transizioni, durante le riprese ho capito l’uso che volevo fare delle sue canzoni. |
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E la scelta dell’attore, Emile Hirsch? |
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L’avevo visto in un film: molte cose, dall’aspetto fisico al modo di muoversi, mi erano piaciute per questa parte. La cosa importante era che avesse la volontà di passare otto mesi in quelle circostanza, di mettersi in discussione: e lo ha fatto alla grande. |
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Ha mai fatto un viaggio in solitario come quello del film? |
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La mia esperienza più vicina è la mia vita sull’oceano in qualità di surfer, ma niente a quei livelli. |
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E’ importante fare film politici oggi? Pensa che l’uomo moderno si sia allontanato troppo dalla natura? |
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I film importanti sono quelli che esprimono qualcosa di interessante per chi li fa nel momento in cui li fa. Sono d’accordo con chi ritiene che la natura debba essere considerata una priorità. |
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Di che sostegno ha bisogno per il suo lavoro? |
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Suppongo che la testardaggine sia la mia più cara amica in tutti i film che ho fatto. |
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In “Into The Wild” risalta l’importanza data alla famiglia. |
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E’ una questione difficile quella delle famiglie. Io non credo nel ‘pregiudizio di sangue’, la questione principale di questa storia è che qualsiasi individuo deve essere pronto a qualsiasi cosa che sia necessaria per ‘cambiare pelle’. |
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C’è un afflato religioso nell’ultima parte del film. E’ un tentativo di esprimere una sua professione di fede? |
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Io non lavoro per descrivere qualcosa come la religione: la cosa più importante della religione è il suo essere personale. |
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Quale lezione può esserci, se c’è, per i giovani? Cosa dovrebbero trarne fuori? |
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Suppongo di essere anche troppo ripetitivo su questo tasto: noi – e quando dico noi intendo non solo gli Stati Uniti, ma tutto il mondo occidentale – abbiamo sviluppato una dipendenza dal comfort, bisogna imparare ad uscire, ad inseguire un cambiamento riguardo ciò che gli altri ci dicono che noi dobbiamo essere. Qualcosa che faccia battere il cuore più forte. |
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Non le sembra che il tempo negli Stati Uniti si sia come fermato negli ultimi 15 anni (pensando a George Bush, alla guerra in Iraq)? |
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Sono stato a un concerto di Bruce Springsteen, che ha detto: “guardate quanta strada abbiamo fatto, eppure stiamo tornando indietro”. Condivido. |
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Cosa la spinge a narrare una storia, a fare un film e a dirigerlo? |
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Le scelte in campo registico assomigliano al modo in cui scegliamo un partner nella vita, bisogna stare attenti o si rimane intrappolati. |
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Quale sentimento l’ha guidata in questo lavoro? |
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Due elementi principali mi han fatto da ancora: una parte della storia è mossa da una fuga da, ma la parte dominante è la ricerca di qualcosa. |
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Cosa la fa arrabbiare oggi? |
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Trovo un’infinità di cose che mi fanno arrabbiare, penso che sia una specie di combustibile, ma spero che non dipenda solo da questo la mia ispirazione. Parlerei di ‘volume’: quando la stupidità raggiunge un volume abbastanza alto, io mi arrabbio. |
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Dopo aver affrontato con coraggio la natura selvaggia, si sente pronto a girare un film in Italia? |
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Una notte in Italia nella quale sono uscito a bere è già stata una grande sfida, datemi tempo… |
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